giovedì 29 dicembre 2011

CINA E TERRITORI AGRARI. PASCUCCI A., La privatizzazione di terre farà esplodere tutto il Paese. Dialogo con He Xuefeng, IL MANIFESTO, 21 dicembre 2011

Negli ultimi 20 anni oltre 250 milioni di cinesi hanno lasciato le campagne per andare a lavorare in città, scomponendo i connotati sociali del paese. La vecchia classe operaia è stata sostituita da un esercito di nongmingong, contadini lavoratori, nuova classe dai contorni ancora indefiniti, mentre l'abbandono dei campi da parte dei più giovani ha stravolto il mondo contadino, Infine l'intensa urbanizzazione, avvenuta a spron battuto, ha fatto delle campagne vicine alle città un terreno di battaglia tra interessi contrastanti, in cui la terra è diventata fonte di accumulazione originaria del capitale, anche per i contadini.

È tenendo presente questa complessità che il professor He Xuefeng, direttore del Centro di ricerca sull'amministrazione della Cina rurale all'Università Huazhong di Wuhan, dove lo incontriamo, invita a osservare gli attuali conflitti. Oggi in Cina la terra è di proprietà pubblica e solo i diritti d'uso appartengono alle famiglie. L'opinione corrente è che se fosse introdotta la proprietà privata della terra, gli usufruttuari si difenderebbero meglio dai soprusi dei governi locali. In realtà sulla questione, afferma il professor He, il fronte contadino è diviso. Le più forti pressioni a privatizzare vengono dalle periferie delle città e nelle aree di sviluppo industriale dove si trova il 5% dei 700 milioni di agricoltori. Sono le aree degli scontri più accesi, dove i contadini chiedono più forza legale per aggiudicarsi una quota più grande dei profitti provenienti dalla crescita.
Poi c'è la frattura, provocata dalle grandi migrazioni, fra chi è rimasto in campagna e chi se n'è andato. Molti di coloro che lavorano in città non lavorando più la terra vorrebbero essere liberi di disporne senza dover rispondere alla comunità. Da qui la pressione sui governi locali perché concedano una sorta di «privatizzazione» dell'uso. Il che avviene, spiega He Xuefeng, ma a spese della coesione dei villaggi e della loro capacità collettiva di migliorare la produzione con infrastrutture e strumenti (strade, irrigazione, macchine etc.) dai costi insostenibili per i singoli. Inoltre, poiché il valore della terra cresce con lo sviluppo dell'industria e del terziario, si comprende l'aumento delle pressioni a disfarsi dell'uso agricolo della terra per ricavare più soldi dalla sua cessione. Un nodo cruciale perché, secondo He, ne va della stabilità del paese. I migranti che disponessero della proprietà la venderebbero. Improvvidamente, secondo l'esperto, perché il ricavato non garantirebbe una vita decente nelle costose città e il ritorno sarebbe precluso. Ancora oggi, fa notare, molti non rinunciano all'hukou contadino che, se priva dei diritti assicurati ai cittadini, dà loro altri vantaggi, come avere più di un figlio o accedere alle università con un voto più basso all'esame di ammissione
Però, facciamo notare, i piani di urbanizzazione prevedono lo spostamento in un decennio di centinaia di milioni di persone nelle città, inoltre le giovani generazioni di migranti non hanno più voglia di tornare indietro. E non s'è mai visto un paese moderno con il 50% della popolazione nell'agricoltura. Per il professore procedere in tempi così rapidi sarebbe socialmente destabilizzante. I governi delle città non riuscirebbero a garantire gli standard minimi di welfare e dilagherebbero gli slums.
Con le campagne cinesi lacerate dai cambiamenti il business della grande agro industria si fa largo e fagocitando i piccoli appezzamenti ben si concilia con la migrazione di massa prossima ventura disegnata dai piani. Una vera iattura, per He Xuefeng, che auspica, e lavora, affinché si riorganizzi la struttura autonoma del villaggio, ultimo anello della catena amministrativa. E' da qui che si deve ripartire, argomenta, per istituire meccanismi di governo democratici e restituire forza ai contadini.
Intanto però la questione della terra esplode, con rivolte contro gli abusi di potere e la corruzione. La risposta è sorprendente: non si possono dividere i buoni dai cattivi. Ognuno cerca di accaparrarsi i profitti più alti dai processi in corso. Le proteste riportate dai media avvengono nei luoghi dove la lotta è più accesa e i dimostranti sanno che quanto più forte è l'attenzione suscitata tanto più alta sarà la loro possibilità di vittoria.
   

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