martedì 7 febbraio 2012

NEVE E NULLA. CERONETTI G., L'uomo moderno rimasto con una candela, IL CORRIERE DELLA SERA, 7 febbraio 2012

Nigro signanda lapillo . I giorni da segnare con pietruzza nera si vanno facendo sempre più numerosi. Quasi tutti, forse, almeno per la mia percezione del tempo, sono giorni nefas (infausti), quantunque il calendario non li indichi, né certamente li personalizzi. Ma il prodigio è che di tanto in tanto un istante di felicità indicibile riesca a passare al di là della cortina di ferro del mal-di-vivere, illuminando tutto.



Un giorno perfettamente infausto è stato, nel piccolo borgo toscano dove vivo, il 10 febbraio di questo bene annunciato anno bisestile. La grande Nevicata del martellare meteo che dura da settimane, mi è piombata addosso come una slavina sul fondista imbecille. Era notte ancora e la corrente è mancata, per un guasto imprecisato ma credo grosso, dentro e fuori le case. La vera origine del mondo, buco nero senza lanterne sperdute lontano: dal primo gas-light londinese a fine XVIII, quando ancora Parigi in rivoluzione scompariva di notte, l'uomo occidentale si rifugia nell'illuminazione pubblica alla disperata, per esorcizzare i demoni dell'origine al buio. Nell'evoluzione erotologica la copula notturna rischiarata (la loda l'Ariosto in un'ode galante) è una conquista dell'amore (e della trasgressione senza estremismi). Poi vennero Edison e, più forte di lui, Nikola Tesla, venuto forse dallo spazio per regalare al mondo la corrente alternata... Ma divago troppo! Oggi è 2 febbraio e sono sequestrato in casa, perché se metto il piede fuori mi assicurano che mi romperei come un grissino allo strutto. La prudenza non è mai troppa. Le superfici ghiacciate, a queste temperature da Kolimà, occupano quasi tutti gli spazi.
La privazione di corrente di primo mattino (mi suonano le svegliette made in China alle cinque e trequarti) non costituisce per me un intoppo: finché non faccia giorno, il lume di più candele, dolcissimo e sapiente Georges La Tour, mi ravviva e mi protegge gli occhi. Ma le riparazioni dell'Enel dureranno dodici ore e queste mie pareti trattengono poco il calore, le finestre non mancano di spifferi, per l'unico abitante di tre camere stipate di libri, il gelo nelle ossa fragili gli arriva come la carezza di un coltello sulla gola. Il mio autoritratto, pur senza controllo di specchio, dove aborrisco curiosarmi, mi descrive vecchio, storpiato nella colonna fino alla contorsione, deambulante con crescente rischio e sforzo (oh Breugel!), con un capitale di malanni interni uno più vocato dell'altro per assassinarmi. La solitudine mi opprime più nell'estate che nell'inverno; il telefono la surroga a sufficienza; ma dopo aver scritto diecimila e più lettere e cartoline di posta verace, ora mi tocca assistere all'obbrobrio della corrispondenza che agonizza e devo ricorrere per ottenere risposta al telegrammuccio cellulare.
Non mi manca assistenza; mi manca esistenza. Intendo l'esistere in altri, in luoghi d'anima non materialmente raggiungibili, mete di utopie. Fa pena vedere tanto esaltato il «lavoro» (come posto e stipendio) come risposta alle disperazioni giovanili, quando si sa che hanno tutt'altra origine e fondamento. Ripensare il cinema di Bergman, ripensare Shakespeare e Beckett, di cui m'inguanta benissimo l'ultima battuta di Krapp («The Last Tape»): «No, quegli anni non li vorrei indietro: no, non li rivorrei indietro».
Insomma le mie tarlature non sono poche, e si estendono dal cielo di Elia alle rotte sottomarine delle Bahamas. Ma, ora e qui, non faccio l'Orlando e il Sansone incalvito che combattendo senza eroismo con la miseria funesta e umiliante del corpo carnale. Mancando per mezza giornata il riscaldamento autonomo, mi è stato facilissimo perderci ora dopo ora la testa, intirizzita perfino nel ragionare. Vedendo riaccendersi all'improvviso un globo luminoso sono rimasto incredulo, tanto poco è reale quel che diciamo tale. Ma la paura di altre interruzioni e di prossime altre nevicate mi grattugia come formaggio.
Questa minima cronaca personale può avere un risvolto di riflessione. Questa civiltà tecnicizzata non poggia su nulla di solido. Le città, l'economia globale, l'università, il virtuale, tutto, cessano di funzionare per un guasto nella trasmissione di un'energia in un insignificante punto di mappa stradale, e ladri e paranoici da enormi distanze le governano con spietatezza. Individualmente, sebbene rassicurati dalle meraviglie degli ipermercati, non contiamo più dell'uomo con la clava, o della foglia caduta dell'ippocastano. La computerizzazione universale ci disarma addirittura della clava e del coltello di pietra neolitica. Il re è nudo in eterno, sia pure con mutande griffate. Le nevicate, anche abbondanti, cinquanta-sessanta anni fa significavano tregua e riposo, con qualche vecchio trovato assiderato nella cucina. Chi pensava che l'omino bianco avrebbe potuto paralizzare le sale operatorie, le banche, anche quelle centrali, le farmacie...

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