venerdì 13 aprile 2012

ASIA. FORTI M., Il fronte della follia umana, IL MANIFESTO, 11 aprile 2012

Si dice che sul «più alto fronte di guerra del mondo» faccia più vittime il gelo delle armi. Lo conferma la tragedia avvenuta sabato ai bordi del ghiacciaio del Siachen, tra la catena del Karakorum e il Ladak (quindi l'Himalaya), alla confluenza tra India, Pakistan e Cina. Una gigantesca valanga si è abbattuta sulla base di Gayari intorno alle 5 del mattino, e non ha lasciato scampo. La massa di neve, pietre, fango e detriti, alta 25 metri su un fronte largo un chilometro, ha colto di sorpresa i 135 abitanti dell'accampamento: 124 soldati del 6° battaglione «fanteria leggera del nord» dell'esercito pakistano e 11 impiegati civili.



Vani i soccorsi, che hanno mobilitato 180 militari e 60 esperti civili con elicotteri, bulldozer per muovere i detriti, cani addestrati a fiutare corpi tra le macerie, unità mediche. Ma 36 ore dopo non erano ancora riusciti ad arrivare ai corpi sepolti; trovare dei sopravvissuti neanche sperarlo, impossibile per un umano resistere più di qualche minuto sotto 25 metri di neve e fango a temperature sotto zero.
Gayari infatti si trova a 4.500 metri d'altezza, uno dei luoghi più inospitali al mondo per gli umani. E qui sta il punto. Quello avvenuto sabato è un disastro «naturale», perché una valanga su un ghiacciaio all'inizio della primavera è abbastanza naturale (anche se questa era insolitamente grande). Non è affatto naturale invece che degli umani creino una mini-città a 4.500 metri d'altezza. E infatti sul sito di Gayari non c'era nulla prima che l'esercito pakistano vi costruisse quella cittadella, negli anni '80, come base logistica per i rifornimenti diretti alle postazioni «avanzate» lungo il confine di fatto con l'India sul ghiacciaio, a 6.000 metri o più.
Qui India e Pakistan mostrano a cosa possa arrivare la follia umana. Il Siachen si trova all'estremo nord del Kashmir, regione da sempre contesa tra le due potenze atomiche dell'Asia meridionale (che vi hanno combattuto tre guerre convenzionali negli ultimi 65 anni e ora sono attestate su una proxi war, guerra di prossimità attraverso milizie irregolari). Quel ghiacciaio, tra 5.480 e 6.700 metri d'altezza, è rimasto a lungo «terra di nessuno», grazie alla sua posizione inaccessibile e non particolarmente strategica. Nel 1984 però l'India ha deciso di «mappare» anche lassù il confine di fatto con il Pakistan: con un grande ponte aereo ha trasferito sul «suo» lato del Siachen uomini e attrezzature e vi ha costruito postazioni. Subito l'esercito pakistano ha fatto altrettanto. E da allora il Siachen è il ghiacciaio più militarizzato al mondo, con migliaia di soldati delle due parti stazionati là tutto l'anno a temperature fino a 40 o 50 sotto lo zero.
E' fronte di guerra surreale. Gli scontri a fuoco non sono frequenti, da quando New Delhi e Islamabad hanno firmato un cessate-il-fuoco nel 2003. In compenso i soldati combattono con i geloni, il vento, i crepacci, la mancanza di ossigeno. Tutto ciò costa uno sproposito, in termini umani e finanziari, per entrambe le parti. La logistica, i rifornimenti, perfino ogni singolo chapatti (pane) mangiato a 6.000 metri costa dieci o venti volte più che a valle. Una stima circolata anni fa per l'India parlava di quasi un miliardo all'anno, e probabilmente va aggiornata.
Nel 2003 alcuni noti ambientalisti e pacifisti di India e Pakistan proposero (invano) di trasformare il Siachen in un'area protetta binazionale, un «parco naturale per la pace». Ma non c'è neppure bisogno di essere pacifisti, basta valutare costi e importanza strategica. Infatti, quando nel 2004 New Delhi e Islamabad hanno avviato un processo di pace, il Siachen era sul tavolo: entrambe sarebbero ben felici di abbandonare quella costosa posizione. Ma nessuna vuole «indietreggiare» per prima. Così la folle guerra d'alta quota continua.

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