domenica 12 agosto 2012

ACQUA ED AGRICOLTURA NEGLI USA. GAGGI M., Così la grande sete sta svuotando i granai, IL CORRIERE DELLA SERA, 12 agosto 2012

In un mese già perduto un sesto dei raccolti

NEW YORK - La siccità peggiore da cinquanta anni a questa parte sta distruggendo un sesto del raccolto americano di mais e almeno il 10 per cento di quello di soia. E siccome gli Stati Uniti, grandi esportatori di cereali (primi al mondo per il mais ma nelle posizioni di testa anche per soia e grano), sono per l'agricoltura quello che l'Arabia Saudita è per il petrolio, ecco che la scossa diventa planetaria: prezzi agricoli destinati a crescere in tutto il mondo.

Oltretutto, quest'anno, «effetto serra» e piogge scarse non hanno colpito solo l'America: siccità anche in Russia e Kazakhstan, mentre in India, dove il monsone è arrivato in ritardo e ha portato poca acqua, il raccolto ne risente. I prezzi dei cereali sono già in crescita, con quello del mais salito in un mese del 39 per cento: a risentirne sono, in primo luogo, gli allevamenti, col prezzo della carne probabilmente destinato, nei prossimi mesi, a guadagnare un 5 per cento. Il mondo sta andando incontro a una crisi alimentare seria, ma non grave come quella del 2007-2008 quando si registrò un'impennata spaventosa dei prezzi che, in tutto il mondo, spinse in una condizione di miseria altre 100 milioni di persone non più in grado di sfamarsi col loro modesto reddito.
Se stavolta le prospettive sono un po' meno cupe, è perché quest'anno gli agricoltori Usa avevano realizzato una semina record con l'intenzione di aumentare di molto il volume della produzione. Anche con la perdita di un terzo del seminato, quindi, alla fine il calo della produzione rispetto al 2011 non dovrebbe superare il 14 per cento. Ma soprattutto (e paradossalmente) ad aiutare è la stagnazione globale. Quest'anno non c'è il boom della domanda di cereali della Cina e dell'India che quattro anni fa, combinato con la flessione della produzione, aveva fatto schizzare i prezzi in una misura impressionante: la nuova borghesia asiatica, che negli anni scorsi ha cominciato ad appassionarsi agli stili di consumo alimentare occidentale, scoprendo, in particolare, la carne bovina, viene da una primavera poco brillante: anche a Shanghai e a Bangalore si comincia a tirare la cinghia.
Per l'agricoltura Usa è, comunque, emergenza e l'amministrazione Obama si trova stretta tra due fuochi: da un lato gli allevatori, che assorbono un'enorme quantità di granturco per i loro animali e i giganti dell'industria alimentare che, dalla Kraft alla Nestlé, già sentono la pressione dei prezzi. Questi gruppi vorrebbero che fosse eliminato l'obbligo di destinare una parte della produzione cerealicola ai biocarburanti. Se il 40 per cento del mais americano oggi utilizzato per produrre etanolo tornasse agli usi alimentari, infatti, i prezzi dei cibi ne risentirebbero positivamente. Dall'altro c'è la pressione dei produttori che attorno ai biocarburanti hanno creato un vero sistema economico che non è facile da smantellare.
In mezzo c'è il segretario Usa all'Agricoltura, Tom Vilsack. In una brusca risposta alla richiesta, formulata addirittura dall'Onu, di smettere di usare il mais come combustibile, il ministro di Obama ha affermato che le difficoltà del momento sono congiunturali e comunque non sono tanto gravi da imporre un radicale ripensamento della strategia agroindustriale del Paese. Oltretutto, togliere l'etanolo dalla miscela dei carburanti rischierebbe di far risalire il prezzo della benzina che solo da poco è ridisceso a livelli più accettabili per gli automobilisti Usa. Meglio lasciar fare al mercato dove gli industriali dell'etanolo, davanti all'aumento del prezzo del mais, già hanno diradato gli acquisti.
Sui biocarburanti - il cui processo produttivo assorbe una gran quantità di acqua, una risorsa sempre più scarsa e preziosa - la sensazione è che si stia comunque andando verso una resa dei conti. L'etanolo ha ancora molti difensori perché, come detto, attorno a questo prodotto è nato un sistema di interessi e perché quella dei biocarburanti è una delle gambe sulle quali si regge il piano che dovrebbe consentire agli Stati Uniti di raggiungere la piena indipendenza energetica nel 2020. Ma questo carburante di derivazione agricola non è più considerato da tempo un'alternativa ecologica «virtuosa» ai combustibili fossili da quando Al Gore, un paio d'anni fa, ha candidamente ammesso: «Mi sono sbagliato».
In questo 2012 torrido - il luglio più caldo mai registrato negli Stati Uniti - il problema non è, comunque, solo quello della scarsità delle piogge. I danni al raccolto sono gravi in Indiana e Illinois dove il cielo è stato molto avaro con gli agricoltori, ma ci sono problemi seri anche in Ohio e Kentucky dove, alla fine, le piogge sono arrivate. Anche qui, però, le elevate temperature hanno fatto rinsecchire il mais e ostacolato la delicata fase dell'impollinazione. E il caldo estremo ha creato situazioni di emergenza anche al di fuori dell'agricoltura: ponti e autostrade messi a dura prova, problemi per le ferrovie nella zona di Washington, alle centrali nucleari del Texas e alla rete elettrica in Maryland. Un'altra centrale atomica, vicino Chicago, ha dovuto chiedere un'autorizzazione speciale per continuare ad operare anche se le acque di raffreddamento che vengono da un vicino lago hanno superato il limite di sicurezza di 38 gradi Celsius fissato dalla legge.

Nessun commento: