venerdì 1 giugno 2012

ITALIA. TERRITORIO E TERREMOTI. BRAMBILLA M., Basta con le esagerazioni, l'Emilia non è scomparsa, LA STAMPA, 1 giugno 2012

Tutto viene enfatizzato a dismisura, a partire  dalla paura della gente


Nelle ultime due settimane in Emilia Romagna ci sono stati 24 morti e danni per svariati miliardi di euro; gli sfollati sono quindicimila. Bastano queste cifre per dire che una situazione è grave e degna di attenzione da parte di tutti gli italiani? Evidentemente no, non basta. Così sono giorni che in tv, alla radio e sui giornali si sente parlare di «interi paesi cancellati dalle carte geografiche», o più sobriamente «rasi al suolo». Ho sentito dire che Cavezzo, dov’ero appena stato, «non esiste più». Ci sono titoli sui siti web - anche, ahimè, dei grandi giornali - che parlano di migliaia di emiliani che «soffrono la fame», di «assalti di sciacalli alle case danneggiate».

Mi domando se chi dice e scrive queste cose sia stato davvero in questi giorni a Mirandola, Cavezzo, Rovereto sul Secchia, Medolla, Carpi. Paesi che hanno subito danni ingentissimi e molti lutti: ma che esistono ancora. Paesi popolati da persone in difficoltà: ma non ridotte alla fame. Paesi in cui i capannoni crollati sono per fortuna una piccolissima percentuale, non la norma. Paesi in cui le abitazioni private hanno tenuto, grazie al cielo: anzi, grazie agli emiliani che le hanno costruite meglio che altrove.

C’è stato un terremoto, e basterebbe usare questa parola, terremoto: ce ne sono molte altre che incutono più terrore? E invece no: si parla di inferno, di un mondo spazzato via, di un’intera regione in ginocchio. Non è così: provate a girare per tutta l’area, da Modena fino su ai paesi dell’epicentro, e vedrete un film che non è quello che viene raccontato. Un film drammatico, certo. Ma perché dire e scrivere che è come il Friuli, l’Irpinia, L’Aquila? In Friuli ci furono mille morti, centomila sfollati, 18.000 case completamente distrutte, 75.000 gravemente danneggiate. In Irpinia tremila morti, 280.000 sfollati, 362.000 abitazioni distrutte o rese inagibili. L’Aquila è ancora oggi, quella sì, una città in ginocchio. L’Emilia no: la gente che vi abita ha paura, e questo è comprensibile, ma le grandi città sono intatte, il 95 per cento dei paesi pure, eppure l’altra sera in tv abbiamo sentito parlare (testuale) di «una regione distrutta».

Tutto viene enfatizzato a dismisura, a partire dalla paura della gente, che già ha buoni motivi per avere paura. L’altra notte l’ho trascorsa in piedi fra la gente in tenda. Una notte certamente disagevole, soprattutto per la preoccupazione per il futuro. Ma non ho visto alcuna scena di panico. La mattina alle nove accendo la radio e sento: «Notte di terrore nelle tendopoli per sessanta nuove scosse». Che ci sono state, ma non tali da essere percepite.

Non si tratta di sminuire la gravità di quello che è accaduto, ma di evitare che ai danni del terremoto si aggiungano quelli di un’informazione drogata. L’altra sera parlavo con Michele de Pascale, assessore al Turismo del Comune di Cervia. Mi diceva di non capire la contraddizione: «Stiamo accogliendo nei nostri alberghi gli sfollati perché qui da noi sono al sicuro. Poi riceviamo disdette per quest’estate: i clienti hanno sentito in tv che l’Emilia è distrutta. L’altro giorno un albergatore mi ha detto che lo hanno chiamato dalla Germania per annullare la prenotazione e hanno chiesto: ma siete ancora vivi?».

Domande alle quali ne aggiungo una diretta umilmente alla categoria di cui faccio parte: vogliamo davvero aiutare gli emiliani a ripartire? Atteniamoci ai fatti. Sono già abbastanza gravi che non c’è bisogno di metterci il carico.

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