mercoledì 14 aprile 2021

DEFORESTAZIONE INCORPORATA. A. SALA, Sapete cos'è la 'deforestazione incorporata'? L'UE ne è il secondo importatore..., CORRIERE.IT, 14 aprile 2021

 L’Europa si conferma il secondo importatore al mondo di «deforestazione incorporata», alle spalle solo della Cina. Fino al 2013 era in testa a questa non edificante classifica, poi è avvenuto il sorpasso di Pechino. Tuttavia il vecchio continente continua ad essere ampiamente davanti all’India, agli Stati Uniti e al Giappone. Di più: l’Europa è responsabile indiretta della perdita di ambiente e biodiversità nei Paesi tropicali — e dei cambiamenti climatici che ne sono influenzati — per una quota percentuale più che doppia rispetto agli Usa: il 16% contro il 7. E in questo contesto l’Italia è al secondo posto, dopo la Germania, nel gruppo degli otto Paesi europei che da soli sono responsabili dell’80% di questa distruzione di natura indiretta che si realizza attraverso i beni importati — in particolare quelli alimentari: soia, carne di manzo e caffé —, la cui produzione avviene a scapito dell’ambiente. E’ quanto emerge dall’ultimo report del Wwf — «Stepping up: the continuing impact of Eu cosnumption on nature» —, realizzato su dati e approfondimenti dello Stockholm Environment Institute (Sei) e sulle analisi del Transparency for Sustainable Economies (Trase).


La sua diffusione, oggi, è l’occasione per chiedere alla Ue di fare la propria parte per una reale inversione di tendenza, in un momento in cui il tema dell’ambiente è fortemente sentito dalla popolazione. Bruxelles sta già lavorando ad una proposta legislativa da sottoporre al Parlamento europeo e agli Stati membri che tenga in considerazione gli effetti delle importazioni sulla deforestazione. Il principio è che se le grandi foreste devono essere considerate patrimonio dell’umanità e non proprietà esclusiva delle nazioni che le ospitano sui propri territori, al tempo stesso il resto del mondo non può prescindere dal fare la propria parte, adeguando i consumi ad uno sviluppo realmente sostenibile. È il momento di agire, insomma, ma secondo il Wwf è importante ampliare il discorso e tenere conto non solo degli ettari di foresta che ogni anno vengono perduti ma anche di quelli di praterie e zone umide, altrettanto colpite da un sistema economico basato sullo sfruttamento delle risorse ma quasi mai oggetto di riflessione. «In questo momento l’Unione europea è parte del problema — commenta Anke Schulmeister-Oldenhove, dirigente dell’ufficio sulle politiche europee del Wwf —, ma con la giusta legislazione potrebbe diventare parte della soluzione».

La richiesta di fondo è sostanzialmente una: «Impedire a qualsiasi prodotto, realizzato in modo legale o illegale e collegabile alla trasformazione degli ecosistemi, di entrare nei mercati Ue». Il report del Wwf evidenzia che nel 2017, ultimo anno di riferimento dello studio, la responsabilità della Ue (comprensiva della Gran Bretagna, essendo ancora epoca pre-Brexit) ricollegabile alla deforestazione riguarda 203 mila ettari di terreni naturali, con una emissione di 116 milioni di tonnellate di CO2. Nell’intero periodo preso in considerazione dallo studio, che va dal 2005 al 2017, l’Ue ha causato, come si diceva sopra, il 16% della deforestazione associata al commercio internazionale, superando nettamente India (9%), Stati Uniti (7%) e Giappone (5%). La Cina con il 24% è in assoluto il blocco economico più impattante sulla salute del pianeta.

Il Wwf avanza alcune richieste alla Ue, sostanzialmente dei suggerimenti per rendere la nuova legislazione realmente efficace. Oltre all’inclusione nel novero di applicazione di tutti gli ambienti in via di compromissione, quindi non solo le foreste, la richiesta principale è che vengano resi obbligatori determinati requisiti nelle policy aziendali, vincolanti dunque e non limitati alle scelte individuali delle imprese. L’idea è che sia sempre possibile la tracciabilità delle materie prime e che vi sia trasparenza nella catena di approvvigionamento. Per quanto il focus sia sull’ambiente, di pari passo viene chiesta la certificazione del rispetto dei diritti delle persone, nella fase di produzione e di trasformazione, visto che le condizioni di lavoro sono spesso l’altra faccia (sporca) di un sistema economico finalizzato a soddisfare la domanda di beni del mondo ricco, perlopiù occidentale. A questo proposito un accento viene posto sulla necessità di avviare politiche di seria cooperazione con i Paesi a cui si chiede di rinunciare allo sfruttamento del proprio territorio dopo che l’Occidente ha di fatto consumato il suo garantendosi, anche in questo modo, l’attuale livello di benessere.

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