giovedì 14 aprile 2016

AMBIENTE ED INQUINAMENTO. PETROLIO IN BASILICATA. M. SASSO, Basilicata, il Texas italiano tra petrolio, disastro ambientale e aumento dei tumori, L'ESPRESSO, 11 aprile 2016

Non ci sono solo veleni, dossier e tante telefonate imbarazzanti. Dietro il caso che ha portato alle dimissioni del ministro del governo Renzi Federica Guidi si gioca una partita più importante: l’ipotesi di disastro ambientale con epicentro la Basilicata.



Tra il centro olio di Viaggiano, i pozzi di Tempa Rossa e la diga del Pertusillo c'è un triangolo di appena 40 chilometri quadrati. Tutto in Val D’Agri.

Nel cuore della Provincia di Potenza, dove nel 1989 si scoprì l'oro nero del più grande giacimento terrestre made in Europa. Il Texas italiano, dove si pompa greggio a ritmo di 85mila barili al giorno, grazie a 39 pozzi e una rete di 100 chilometri di condotte sotterranee per il trasporto dell’olio estratto verso la raffineria Eni di Taranto. La piccola Basilicata copre l’8 per cento del fabbisogno nazionale, ma è fanalino di coda italiano per disoccupazione e sviluppo.

Dietro affari da centinaia di milioni di euro per la procura di Potenza c’è un fiume di liquidi inquinanti e rifiuti pericolosi finiti nella rete dell'acqua potabile. Da inchiesta sul potere e la capacità di scrivere e cancellare presunti favori alla compagnia petrolifera Total, è diventato un problema di salute pubblica.

Ci sono 60 indagati e sei arresti per il filone parallelo del centro olio Eni di Viggiano (dove viene trasformato il greggio estratto sotto terra) con l’accusa di aver gestito illecitamente i rifiuti, smaltendo come non pericolosi rifiuti invece “pericolosi” in modo tale da avere un vantaggio economico. Inoltre viene contestato di aver taroccato i dati sull'inquinamento delle emissioni.

Ora sono i carabinieri del nucleo operativo ecologico che hanno messo sotto la lente migliaia di cartelle cliniche, acquisite negli ospedali lucani per verificare la presenza di tumori sulla popolazione.

QUANTO È PERICOLOSO QUEL RIFIUTO 

Ecco come la lunga serie di reati contestati agli arrestati potrebbe aver fatto male alla salute di uomini e ambiente. I rilievi si stanno allargando in tutta la regione, con indagini epidemiologiche anche sui “bioindicatori”, ovvero su indicatori utili a dimostrare i possibili livelli di inquinamento sulle produzioni agricole locali e sugli allevamenti.

Epicentro il paese di Viaggiano, quartier generale di Eni, dove per “risparmio dei costi – si legge nell'ordinanza del gip – del corretto smaltimento dei rifiuti prodotti dal centro olio” con rifiuti speciali pericolosi che venivano “dal management Eni qualificati in maniera del tutto arbitraria e illecita” con un codice che li indicava come “non pericolosi”, e poi inviati con autobotti agli impianti di smaltimento (come Tecnoparco, in Valbasento, a pochi chilometri) con “un trattamento non adeguato e notevolmente più economico”.

Dai calcoli degli investigatori, il risparmio ipotizzabile per questo “sistema” sarebbe fino al 272 per cento e si tradurrebbe in una cifra che oscilla tra i 44 e i 110 milioni di euro ogni anno. La restante parte dei reflui liquidi sarebbe stata trasferita nel pozzo “Costa Molina 2” (sotto sequestro), in cui “i liquidi venivano reiniettati, sebbene l'attività di reiniezione – precisa il gip – non risultasse ammissibile per la presenza di sostanze pericolose”.

C’è poi il capitolo aria, con emissioni che per il gip è “uno dei settori più sensibili e di maggiore impatto ambientale del ciclo produttivo petrolifero”: in questo caso, per “celare le inefficienze dell'impianto, i vertici del centro olio decidevano deliberatamente e in diverse occasioni di comunicare il superamento dei parametri” con una “condotta fraudolenta”, grazie ad una giustificazione tecnica che “non corrispondeva al vero” o “diversa da quella effettiva”.

Centinaia di intercettazioni tra i dipendenti raccontano il malaffare: “Io ora preparo le comunicazioni… ci inventiamo… una motivazione”. E la preoccupazione:“Mi sono cagato sotto”.

LA DOCENTE E I CAMPIONI DI ACQUA SPORCA

Da anni queste foto compaiono sui quotidiani locali grazie al lavoro di denuncia dei volontari e delle onlus locali, comel'organizzazione lucana ambientalista . Immagini che raccontano il livello di inquinamento intorno al lago del Pertusillo e le 23 tra sorgenti, corsi medi e piccoli che assicurano l’approvvigionamento per l’acquedotto pugliese e più di 4 milioni di persone.




Nel 2010 sono iniziate a morire le carpe che vivono nell'invaso artificiale costruito negli anni sessanta per convogliare 115 milioni di metri cubi d'acqua. I pozzi di petrolio sono a meno di un chilometro e pescano a 4-5 chilometri sotto la superficie, mentre la falda è più in alto. Con la moria dei pesci sono state fatte le analisi che hanno confermato il peggio: idrocarburi e metalli pesanti con alte concentrazioni oltre i limiti di legge.

Analisi eseguite grazie all’autotassazione dei residenti e affidata ad Albina Colella, docente di geologia all’Università della Basilicata.

«Non ci siamo fermati e studiando i sedimenti abbiamo fatto un’altra scoperta: su dieci campioni, sei hanno rivelato la presenza di idrocarburi e tossine cancerogene con concentrazioni altissime», conferma Colella a “l’Espresso”.

Da dove vengono? Il sospetto è lo smaltimento illecito dei rifiuti o acque di scarto petrolifero convogliate in un pozzo e poi fuoriuscite a causa di una perdita.

«La Val d’Agri non è un deserto» sottolinea Albina Colella: «Ma un territorio ricco di acqua e agricoltura, fragile e vulnerabile all’inquinamento. L’estrazione andava fatta con parametri della Norvegia e non in stile Nigeria. Invece siamo partiti pompando petrolio senza calcolare rischi e con studi insufficienti. Abbiamo certamente 7-8 pozzi dove non ci dovrebbero stare, perchè lì sotto si raccolgono le acque piovane che alimentano la falda».

Un anno fa, a gennaio, un altro campionamento. Questa volta a ridosso degli scarichi industriali del pozzo petrolifero “Tempa rossa” al centro dello scandalo. E ancora numerosi metalli pesanti in valori enormemente superiori ai limiti previsti dalla normativa comunitaria.

Le analisi fanno emergere un cortocircuito: i controlli effettuati dall’Arpab (l’agenzia regionale per il controllo sull’ambiente) garantivano che fosse tutto nei limiti di legge e in linea con i livelli di sicurezza, mentre quelle rilevate dall’Università hanno riscontrato un ampio superamento dei valori minimi.

Parere opposto per Eni che ha la gran parte dei pozzi della zona: «Lo stato di qualità dell’ambiente, studiato e monitorato in tutte le sue matrici circostanti il centro olio di Viggiano è ottimo secondo gli standard normativi vigenti», facendo riferimento ai risultati emersi da «studi commissionati ad esperti di conclamata esperienza professionale e autorevolezza in campo scientifico sia a livello nazionale che internazionale».

LA DENUNCIA SENZA RISPOSTA DI BRUXELLES

Un anno fa a portare fino al parlamento europeo di Bruxelles le paure e i rischi di un’intera regione ci pensò l’eurodeputato del M5s Piernicola Pedicini, medico del principale ospedale oncologico locale, a Rionero in Vulture.

Presentò un’interrogazione mettendo in fila tutti i rischi per le falde acquifere e un’anomala distribuzione di tumori e malattie cardiorespiratorie nell’area.

Questa la risposta del commissario Ue per l’ambiente Karmenu Vella: «In seguito a vari reclami sulle questioni riferite dall’onorevole deputato, la Commissione ha avviato una procedura d’indagine e sta valutando ora le risposte fornite dalle autorità italiane . Una volta terminata questa valutazione, sarà stabilito il seguito appropriato».

«Stiamo ancora aspettando una risposta ufficiale dalla Commissione», annota Pedicini: «È gravissimo questo ritardo e ci auguriamo che grazie alle inchieste aperte dalla Magistratura anche l’Unione europea acceleri le sue indagini. Una cosa è però certa: abbiamo un drammatico incremento dei tumori e di altre malattie che, in particolare negli ultimi anni, stanno colpendo la salute dei lucani. Tutti denunciavano da anni, ma soprattutto la Regione minimizzava le proteste. Ora le risposte devono arrivare».

Perché nonostante i dati rassicuranti del registro dei tumori regionale, che certifica l’incidenza delle patologie tumorali sarebbero in linea con i dati nazionali, altri numeri sono preoccupanti.

L’associazione “Medici per l'ambiente” e i report Istat raccontano un quadro della salute capovolto: tra il 2011 e il 2014 il tasso di mortalità è cresciuto del 2 per cento, nello stesso periodo a Corleto Perticara (meno di 3mila abitanti e a due passi dal centro Tempa Rossa) è aumentato del 23 per cento. Secondo l’Istat, fra il 2006 e il 2013 il tasso di mortalità per malattie dell’apparato respiratorio è salito del 14 per cento in tutto il Paese, schizzando invece al 29 nelle due province lucane, pur avendo una produzione industriale minima.

Un ultimo dato racconta una regione incontaminata, ma pericolosa: nella provincia di Potenza il tasso di ospedalizzazione per tumore maligno nei maschi (tra 0 a 14 anni) è cresciuto del 48 per cento fra il 2011 e il 2014.

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