giovedì 19 maggio 2022

AMBIENTE A RISCHIO DI SOPRAVVIVENZA. C. CROSATO, Pensare la Fine (del mondo) per evitare che il mondo finisca, IL MANIFESTO, 19 maggio 2022

 Ricapitolare le ragioni per prenderci cura dell’ambiente in cui viviamo, conservando come punto di fuga la possibilità sempre presente che questo ambiente finisca, che non sia più per noi accogliente: questa la missione di cui si incarica Marco Pacini nel suo libro Pensare la fine. Discorso pubblico e crisi climatica (Meltemi, 152 pp., € 15).


La Fine può essere scritta con la maiuscola, intendendo con ciò la fine del mondo umano che, per la crisi climatica innescata, rischia di essere assai prossima: fine di un mondo accogliente per noi e per la biodiversità che già inizia a sgretolarsi sotto i nostri occhi, come testimoniano quelle scienze che il discorso pubblico ha relegato a statuto secondario. Una Fine per evitare la quale è saggio tenere fissa davanti al nostro sguardo la fine, con la “f” minuscola: l’urgenza della fine del mondo “carbonfossile” in cui abitiamo, inaugurato dalla macchina a vapore; una fine che contempla, ancora più profondamente, la deposizione del soggetto moderno, l’umano unico detentore di capacità e diritto di disporre di tutto il mondo non-umano.

Quello predicato da Pacini è in primo luogo un materialismo radicale, che ci accompagni al riconoscimento dell’umano come materia relazionale, in un continuo scambio con altra materia non-umana, vivente e non vivente. L’invito è quello ad accedere a un altro pensiero e a un pensiero dell’Altro, di ciò che finora è rimasto confinato al rango di pura risorsa da estrarre e sfruttare. Non si tratta di rigettare completamente i progressi, pur presenti, offerti in epoca moderna dalla rivoluzione antropocentrica, ma di mitigarne gli aspetti più problematici innanzitutto riconoscendo una forma di agentività della Terra, della natura, degli esseri non-umani. Non si tratta, insomma, di agognare il famoso asteroide, o una qualsiasi altra formula di estinzione della specie umana: si tratta, piuttosto, di una ben più modesta, quanto fondamentale ritirata strategica, che trasformi la postura dell’uomo su questo pianeta dal dominio alla responsabilità.

Un invito, quello di Pacini, a uno sforzo intellettuale e politico sovrumano, per farsi responsabili, cioè per rispondere degli esiti delle nostre azioni individuali e collettive; esiti di così ampia portata e così lungo termine da sembrare imprevedibili, e il cui solo pensiero atterrisce, spaventa, paralizza. Pacini, da parte sua, sottolinea, più che un’ansia generalizzata e paralizzante, la presenza di un ottuso ottimismo dovuto a una sorta di soluzionismo tecnologico, che chiude gli occhi di fronte alle più gravi evidenze. Evidenza che, certo, possono spaventare, ma di una paura finalmente mobilitante: la corretta disposizione è quella di un pessimismo preventivo, unica autentica forma di realismo a riparo da escatologie tecnocapitaliste, pacificanti e appaganti.
Si tratta, oggi, di un ripensamento radicale di tutte le categorie filosofiche e politiche che siamo usi considerare assodate: dobbiamo porre parole come “sovranità”, “libertà”, “Stato”, “diritti” nella prospettiva della possibile fine dell’umanità e dell’ambiente che la ospita se non si saprà pensare una fine più discreta del modo di vivere che ci ha condotti fin qui. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che non può rimanere soddisfatta di fronte al greenwashing del marketing o alle narrazioni vagheggiate dal pensiero accelerazionista: la festa è finità, dice l’ultimo capitolo; e può anche darsi che parte della popolazione mondiale non sia nemmeno stata invitata, ma ora è un nuovo e responsabile “che fare?” quello a cui siamo chiamati, perché non si avveri lo scenario, drammatico ma possibile, in cui ogni domanda sarà ormai vana. Pensare la fine (del tecno-capitalismo) per evitare la Fine. Perché il capitalismo ha una “sua” ecologia, incompatibile con quella dei viventi.

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