mercoledì 9 maggio 2018

NATURA IN PERICOLO. AMAZZONIA. E. DE VILLEPIN, L'agonia dell'Amazzonia: viaggio al termine del pianeta , L'ESPRESSO, 8 maggio 2018

20 febbraio 2017. Piove e il vento è sferzante. Anne de Carbuccia si stringe nella sciarpa e accelera il passo. Sta andando ad incontrare una curandera, una guaritrice peruviana che cura tutto con l’ayahuasca, la “liana degli spiriti”, un infuso purgativo che genera un potente effetto psichedelico. Gli sciamani dell’Amazzonia la usano per i loro rituali magici. La curandera ha una faccia che sembra di cera, sorride con parsimonia ma Anne sente che sarà lei la chiave per entrare nelle viscere della foresta amazzonica.




Anne de Carbuccia è un’artista ambientalista franco-americana che devolve il ricavato delle sue opere alla fondazione One Planet One Future da lei creata. Quando il suo telefono squilla, sei mesi dopo, sa che la curandera le sta offrendo l’opportunità di penetrare nella parte ancora vergine dell’Amazzonia peruviana: il parco nazionale Sierra del Divisor, una delle più grandi riserve naturali del mondo. 10 dicembre 2017, aeroporto di Pucallpa, Perù, un incubo di città, un caos brutto e rumoroso nel cuore dell’Amazzonia. Oltre ad Anne de Carbuccia e alla curandera ci sono Diego, film-maker con grande esperienza e Casco, il suo assistente. Durante il volo cominciano a conoscersi. Raggiungono Contamana, poi il fiume Ucayali. Dovranno risalirlo fino alla riviera di Cashiboya. Ad aspettarli ci sono i due ranger, Lucio e Jahred, e una piroga di 8 metri con un pescaggio di 70 cm, colma di provviste e acqua. Caricare sei persone su un’imbarcazione così piccola è una pazzia, il fiume è cosparso di tronchi e i rischi di rovesciarsi sono enormi. Ma Anne tiene a questo viaggio, e anche gli altri. Si parte.

Via via che risalgono verso la foresta primaria cresce un senso di desolazione: montagne di legna tagliata, passaggi brulli e strappati, squadre di loggers, i tagliatori di legna, una foresta violentata da mani brutali e senza scrupoli. Un tempo il traffico riguardava la Caoba, il mogano prezioso esportato per il mobilio di lusso. Oggi il legno più richiesto è lo shihuahuaco, denso e resistente. Viene esportato illegalmente. Negli Usa questi alberi, che toccano i 50 metri di altezza, vengono pagati tra 9000 e 11000 dollari l’uno. 

Dopo circa cinque ore di navigazione, avvistano una casa con una parabola sul tetto. È guardata da uomini armati: narcos, i cocaleros. Lì, nel cuore lacerato della foresta, coltivano la coca in pace. Ci sono 14 ranger per il parco che copre 1.354.485 ettari. Guadagnano tra 300 e 500 dollari al mese. Il loro lavoro è duro e pericoloso ma hanno fatto un patto con la foresta. Quando la truppa imbocca la diramazione del Cashiboya, è già calata la notte. La navigazione prosegue. Lucio governa il timone, Jahred legge il fiume. È uno shipibo, la gente dell’acqua, la sua arte è un misto d’intuizione e di memoria del fiume. La riva continua ad offrire lo spettacolo desolante della foresta martoriata. Per la gente affamata che arriva dal nord, l’Amazzonia è una specie di Eldorado. Il governo offre la terra e non rimane che tagliare tutto per piantare le palme per l’olio o la soia. I dealers subentrano dopo, comprano a un buon prezzo e nessuno ha risorse sufficienti per resistere all’offerta.

Anne de Carbuccia
Anne de Carbuccia

Altre dieci ore di navigazione e arrivano a Monte Sinai, zona tampone tra foresta secondaria e primaria. L’ultimo posto dove gli esseri umani sono ancora tollerati. Anne de Carbuccia e i suoi compagni scendono in un villaggio di mesticios, che i ranger cercano di educare al rispetto per l’ambiente. Le ultime tre ore di navigazione sono faticose e l’impazienza cresce. Cade una pioggia torrenziale, quasi un rituale purificatore prima di abbandonare qualsiasi traccia della nostra civiltà.

«E poi ho sentito gli uccelli e ho visto le farfalle», dice Anne de Carbuccia, raggiante. Vede il suo albero, soprattutto. È in riva al fiume, maestoso e autorevole. Ha due specie di mani appoggiate per terra e possiede un’energia, una vera presenza. «È uno spirit tree», dice Lucio, un renaco, el arbol del alma. «Vedrai che gli spiriti della foresta sono così potenti che la prima notte non riusciremo a dormire». Anne sente che la grande pianta la accoglie. È sfinita ma ha trovato il luogo per la sua installazione. L’umidità è insopportabile. La prima preoccupazione è proteggersi contro i ragni, i serpenti e le formiche carnivore capaci di divorare un serpente. C’è una capannina di legno dove si sistemano per la notte con sacchi a pelo e zanzariera. Riempiono due secchi di acqua piovana, per lavarsi: è così ricca di componenti minerali da risultare indigesta.

Per due giorni, l’acqua sale tanto da sommergere l’albero di Anne. Impossibile preparare l’installazione. I ranger li guidano nella foresta aprendosi il cammino coi machete. Anne me lo racconterà così: «Non abbiamo nessuna esperienza di luoghi che non appartengano all’uomo. La natura è molto più potente di noi ed è cercando di affrancarsene che l’uomo ha fatto del pianeta ciò che ha fatto». I ranger tagliano delle liane che chiamano artigli di gatto. Hanno un liquido squisito, che rinforza il sistema immunitario. La presenza degli animali si avverte ovunque, in particolare quella del giaguaro. Lucio vuole presentare il suo albero: una puna. È in pericolo, come gli elefanti o i rinoceronti. Da un momento all’altro il governo peruviano può decidere di vendere questo Sector Ahuaya di 13.000 ettari per una concessione di legname di 40 anni. L’uomo li ha voluti lì per condividere il senso di minaccia: la lenta condanna a morte della foresta.

Calata la notte, la curandera prepara la cerimonia ayahuasca. Lei e Jahred fumano e cantano per evocare gli spiriti della foresta. L’atmosfera è intensa e anche se Anne non prende ayahuasca, sente palpitare il cuore dell’Amazzonia. La mattina seguente, Anne installa tra le braccia pensili del suo renaco il guscio di una tartaruga divorata da un giaguaro, dei fiori rossi raccolti al momento. E poi la clessidra e la vanitas, il teschio di gesso, che include nelle sue opere, come nelle grandi “nature morte” secentesche, come in un san Gerolamo fuori dalla sua caverna, al cielo aperto. Nei dipinti vogliono dire Memento mori, ricordati che devi morire. Per lei: “Ricordati della vita che verrà”. Il gran renaco sarà il suo nuovo Time Shrine, l’altare del tempo. È così che vuole esprimere l’urgenza di reagire prima che sia troppo tardi. Scatta le foto dalla piroga che Lucio fa fatica a tener ferma, l’acqua ammonisce che sono ospiti provvisori ma l’abbraccio dell’albero assicura che sono ospiti graditi.
Il viaggio di ritorno è più veloce - vanno nel senso delle correnti - e dunque più pericoloso.


La prossima tappa dopo una notte a Contamana è una comunità shipibo di Santa Clara dove Anne vuole fare un time shrine sulla deforestazione. A Contamana ritrovano un letto, una doccia, internet e il telefono. Stappano delle birre e guardano le notizie. Diego riceve una telefonata: il capo della comunità shipibo e un giornalista della radio indigena hanno attraversato il fiume per visitare le loro terre. I loggers li hanno accolti con la mitraglia e il giornalista è rimasto ferito. Devono rinunciare a Santa Clara. L’altra notizia riguarda il presidente del Perù. È accusato di aver preso una tangente di 4 milioni di dollari da una società brasiliana. Nessuno di loro è sorpreso, dicono che la corruzione è ovunque. In Amazzonia, tre quarti degli affari sono illegali.

Il giorno seguente ritornano a Pucallpa per incontrare María Elena Díaz, la Jefa del Parco nazionale Sierra del Divisor e della “Zona Riservada”. È piccola e graziosa, preceduta da una reputazione che la vuole severa e intransigente. È a lei che si deve la creazione del Parco Nazionale, finora considerato solo “zona riservata”. La distinzione è fondamentale e per ottenerla María Elena Díaz ha subito pressioni inaudite, comprese minacce di morte. Il governo interviene poco su una “zona riservata” e non la difende quasi per niente dai loggers e dagli agricoltori. A Contamana la loro influenza è importante presso la popolazione: ambiscono ad avere le mani libere per le loro attività. Hanno dato vita a una campagna di disinformazione tale che la Díaz si è sentita stretta in una cortina di odio per anni. Per fortuna varie Ong l’hanno sostenuta.

Oggi, secondo lei, la situazione non è risolta. Fa il nome di Leovigildo Guzmàn, potente signore dell’industria del taglio della foresta. Guzmàn ha ottenuto concessioni e per raggiungerle ha costruito una strada lungo la quale ha deforestato a man bassa, finché non è finito in un processo mosso dal Parco Nazionale. La schizofrenia dello Stato è tale, osserva María Elena Díaz, da assumere gente come lei e collaborare con gente come Guzmàn. Altro personaggio inquietante è Dennis Melka: società quotata a Londra, cittadino ceco ma residente nelle isole Caiman. Famoso per le sue piantagioni di cacao, detiene il record della deforestazione. Il Guardian ha pubblicato un’immagine della Nasa nella quale si vede dallo spazio la zona da lui rasata al suolo: 7000 ettari all’anno. Prima di tornare in Europa, de Carbuccia decide di andare a Santa Clara de Uchunya. Ma i locali, ancora scioccati dal tentativo di ammazzare il giornalista, non le lasciano fare l’installazione.

Si torna con un senso di innocenza perduta da questi viaggi. Una cacciata dall’Eden, non come all’inizio questa volta, ma come all’annuncio di una fine. Anne de Carbuccia vede nell’umanità e nella natura un tutto inscindibile. Per lei non c’è salvezza dell’una senza salvezza dell’altra. E ora c’è un albero laggiù, che poggia le mani sulla terra e guarda passare il fiume. Si è scelto un’artista per raccontare al mondo la storia di un’apocalisse imminente. Ascoltiamola.
“One Planet One Future”, il progetto fotografico che documenta l’agonia della foresta, sarà esposto a Napoli, Castel dell’Ovo, dal 23 giugno al 30 settembre

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