domenica 31 agosto 2014

TERRITORI SPAZI E CONFINI. G. VATTIMO, Le frontiere di un mare comune, IL MANIFESTO, 30 agosto 2014

Nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà.. Il canto degli anar­chici ci risuona imme­dia­ta­mente nella mente se appena ci met­tiamo a par­lare di con­fini. Dei quali, dun­que sem­bra natu­rale dif­fi­dare. Non solo per­ché tanta reto­rica mili­ta­ri­sta ne ha fatto scem­pio, ren­den­doli odiosi , ma anche e soprat­tutto per­ché oggi sono sino­nimo di una patria che si chiude e si bar­rica: il Canale di Sici­lia, tanto per par­lare di Medi­ter­ra­neo, è ormai un enorme cimi­tero dove giac­ciono le vit­time delle fron­tiere , i morti ammaz­zati dall’ossessione secu­ri­ta­ria che ispira molte scelte poli­ti­che. Sic­come non si può assi­cu­rare un’accoglienza digni­tosa a tutti, meglio impe­dire loro di entrare. 



Anche e soprat­tutto se si pensa in pro­spet­tive non solo ita­liane o euro­pee, ciò che sem­bra più pro­ba­bile per il nostro futuro glo­bale, come pia­neta, è una lotta tra chi sta fuori e chi sta den­tro, una lotta in cui volenti o nolenti, anche quelli fra noi che si sen­tono più aperti e moral­mente impe­gnati a rispet­tare il pros­simo e a col­ti­vare ideali di uma­nità, si tro­ve­ranno costretti ad arruo­larsi.
Ma chi vor­rebbe vivere dav­vero in un mondo senza con­fini? Dello scon­fi­nato come tale, del resto, ci hanno inse­gnato a dif­fi­dare gli anti­chi; al punto che anche Dio doveva essere per loro qual­cuno di «finito», com­piuto e de-finito, pena il non essere affatto. Il mondo diventa umano quando vi si inscri­vono dif­fe­renze, segni che divi­dono ma anche danno senso allo spa­zio facen­done un luogo o un insieme di luo­ghi. La socio­lo­gia recente parla, sem­pre cri­ti­ca­mente, di non-luoghi: così l’aeroporto dove , secondo un film di qual­che anno fa, si trova a vivere un apo­lide a cui è vie­tato entrare nel paese, è ango­sciante anche per­ché è un non-luogo, seb­bene rap­pre­senti il colmo della segre­ga­zione. E del resto coloro che le nostre poli­zie vogliono tener lon­tani dalla nostre fron­tiere non desi­de­ra­no­sem­pli­ce­mente abo­lire i con­fini, vogliono entrare in un luogo pre­ci­sa­mente deli­mi­tato, pro­prio per le carat­te­ri­sti­che che esso spe­ci­fi­ca­mente pos­siede: cibo, tran­quil­lità interna, forse per­sino un lavoro e la pos­si­bi­lità di pro­get­tarsi un avve­nire..
Pos­siamo legit­ti­mare filo­so­fi­ca­mente i con­fini? Potete cibarvi dei frutti di tutti gli alberi del giar­dino dell’Eden tranne che di uno, dice il Crea­tore ai pro­ge­ni­tori, E l’antropologia teo­rizza il tabù dell’incesto — un divieto non moti­vato bio­lo­gi­ca­mente, ma che fun­ziona pro­prio solo come una prima linea di sepa­ra­zione. Il mondo diventa umano, lascian­dosi alle spalle la fore­sta pri­mi­tiva, quando è mar­cato da segni, che sono sem­pre anche prin­cipi di inclu­sione ed esclu­sione. È una spe­cie di pec­cato ori­gi­nale della civiltà, come se fosse impos­si­bile dare forma al mondo senza sta­bi­lire delle gerar­chie. Del resto non cono­sciamo alcuna forma di divi­sione del lavoro sociale che sia uni­ca­mente ispi­rata a ragioni fun­zio­nali, che cioè non impli­k­chi sem­pre anche la dife­renza tra chi comanda e chi ubbi­di­sce.
Solo l’estetica ci può sal­vare. Pro­vate a pen­sare: se foste asses­sore alla cul­tura di un comune mul­tiet­nico che cosa fare­ste per favo­rire la paci­fica con­vi­venza tra le diverse comu­nità del vostro ter­ri­to­rio? Per esem­pio un festi­val delle cucine tipi­che di cia­scuna; una mostra di pro­dotti arti­gia­nali tipici; un serie di con­fe­renze su usi, costumi, cre­denze degli uni e degli altri.
Dav­vero fun­zio­ne­rebbe? Forse sì e forse no. Fin­ché riman­gono le dif­fe­renze (di base), quelle tra ric­chezza e povertà, la «miti­ga­zione este­tica» ha pos­si­bi­lità limi­tate. L’esempio di una poli­tica este­tica mul­ti­cul­tu­rale ha però un suo senso: dei con­fini non pos­siamo libe­rarci del tutto, come del pec­cato ori­gi­nale. Pos­siamo però oltre­pas­sarli con­ti­nua­mente con l’ironia, con il farli ser­vire alla qua­li­tà­della vita come anti­doto alla noia e alla routine.

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