martedì 31 luglio 2012

ITALIA. CAMPANIA. VIDEO-INCHIESTE. TERRITORI E DISCARICHE ABUSIVE. CRISPINO A., Nel triangolo della morte, dove bruciano i rifiuti tossici, IL CORRIERE DELLA SERA, 31 luglio 2012

Altro che Campania felix. Dagli studi della Regione emerge che chi abita in quelle zone vive almeno due anni e mezzo in meno




Guarda il video: http://www.corriere.it/inchieste/flash/30b1a538-da4b-11e1-aea0-c8fd44fac0da.shtml

Sono le 9 di sera. Fuori si sfiorano i 30 gradi. Tutte le porte dell'appartamento sono chiuse ermeticamente. È vietato aprirle. Così è per tutto lo stabile di via Calvanese ad Afragola. E così anche per quelli accanto, zona saggese. A Casoria, Cardito, Frattamaggiore. Tutta la provincia a nord di Napoli e il basso casertano. Fuori è l'ora del veleno. Dalle poche campagne circostanti si alza una colonna di fumo così nero e denso che opprime le vie respiratorie. L'ossigeno si satura velocemente. Restano da respirare i rifiuti altamente tossici, scarti industriali, vernici, tavole di amianto, televisori (già sventrati dai Rom), frigoriferi, lavatrici, eternit ovunque. Sotto l'asse mediano che porta a Castel Volturno si trovano anche pellami, scarti di fabbriche di abbigliamento. Scarti di fabbriche che però non si vedono sul territorio.
Nessuna meraviglia. Qui c'è di tutto e proveniente da tutta Italia. Da queste parti sono stati rinvenuti anche i fanghi tossici di Porto Marghera, come denunciato di recente dal magistrato Donato Ceglie. Andiamo al Parco Verde di Caivano, dove niente si fa senza il benestare della camorra. Da lontano si vede uno di questi roghi appiccati che sale violento verso il cielo. Appena girato l'angolo ce ne sono già altri tre pronti a bruciare. Vengono camuffati tra i rifiuti urbani, nascosti tra un sacchetto e l'altro dell'immondizia per non dare nell'occhio. Mentre un rogo si spegne, un altro è lì, pronto ad accendersi. «Un poco alla volta» è il sistema che ha trovato la camorra per smaltire i rifiuti cosiddetti speciali tra Caserta e Napoli in quello che anche l'ARPAC, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, chiama «triangolo della morte». Di notte, i roghi diventano centinaia.
Le conseguenze per la salute in questa zona le conoscono i medici di famiglia. Ognuno di loro ha come minimo 1.500 pazienti. Ne intervistiamo alcuni, tutti registrano le stesse patologie legate all'ambiente: un'impennata di allergie, asma ma anche neoplasie che riguardano sia il sangue (linfomi , leucemie) che l'apparato respiratorio. «Questo è l'unico metodo che abbiamo per monitorare le malattie sul nostro territorio» - dice Maurizio Aversano, endocrinologo dell'Asl Na2 -. Nonostante la gravità della situazione non abbiamo un registro tumori (la Regione Campania lo ha approvato solo qualche mese fa, ndr), un registro delle osteoporosi, non abbiamo il registro delle malattie. Non so se volutamente affinché non si dicesse "abbiamo un netto impatto di..." o involontariamente». «È chiara la volontà di ritardare l'evidenza del disastro - dice invece sicuro Antonio Marfella, tossicologo e oncologo dell'ospedale Pascale di Napoli -. Noi pur avendo la metà del consumo ufficiale di pesticidi d'Italia, abbiamo il picco di infertilità tra i giovani e il legame scientifico è noto. Siamo la regione con il picco di malattie tiroidee pur non avendo ufficialmente materiale radioattivo da smaltire».
Altro che Campania felix. Dagli studi della Regione emerge che chi abita in quelle zone vive almeno due anni e mezzo in meno. Il paradosso è che chi dovrebbe controllare (l'ARPAC, Agenzia Regionale per la protezione dell'ambiente Campania) non ha i poteri per intervenire. Insieme con l'ARPA della Val D'Aosta (dove però i reati ambientali sono pari a zero) la Regione a suo tempo rifiutò nel suo Statuto i poteri di polizia giudiziaria. Solo ora pare che qualcosa si muova con l'interessamento dell'assessorato competente e la presentazione di un disegno di legge ad hoc. Nel frattempo, a vigilare e contrastare questo sistema mafioso sono rimasti sul campo solo volontari come quelli che incontriamo in una delle tante discariche: in divisa, senza attrezzature, una vecchia radiotrasmittente al collo e una Fiat Uno per pattugliare una quartiere di 60mila abitanti. E sono fortunati. Gli altri sei colleghi girano a piedi. Se tutto va bene, dopo una denuncia, una risposta arriva non prima dei 6 mesi o 1 anno. «A meno che non capiti come ad Acerra - denuncia il dottor Marfella - dove il capitano della locale stazione dei carabinieri era il cugino di quello che sversava. Non a caso in quel periodo il comune è stato sommerso dalla diossina».
In attesa di sapere che fine farà il Sistri (il Sistema digitale per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti firmato dal ministero dell'Ambiente e mai partito), un metodo efficace per rintracciare i responsabili di questi reati ambientali ci sarebbe. Stavolta made in Campania. Si chiama MARSec. È un centro per il monitoraggio satellitare del Mediterraneo, un progetto di ricerca dell'università del Sannio in collaborazione con la provincia di Benevento capace di fotografare via satellite nel dettaglio le aree degli sversamenti abusivi. In pratica, è come avere una telecamera puntata 24h su 24h sulle zone del disastro. L'utilizzo ha un costo elevato ma il funzionamento è stato più volte apprezzato. «Peccato che l'ultima volta che l'hanno pagato - ha chiosato Marfella - è stato ad aprile scorso per vedere dall'alto chi aveva organizzato meglio le regate della Coppa America, Napoli o Venezia».

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