mercoledì 16 maggio 2012

INDIA. TERRENI STRAPPATI DALLE FABBRICHE. FORTI M., La battaglia dell'acciaio, IL MANIFESTO, 16 maggio 2012

L'ennesimo conflitto per la terra sta per scoppiare, in India. Protagonisti del conflitto sono il governo, un grande gruppo industriale, e alcune migliaia di abitanti di una regione rurale. Oggetto del contendere, un comprensorio di terre coltivate su cui dovrebbe sorgere un'acciaieria. Teatro del conflitto è un altopiano circondato da montagne nel centro dell'India, la regione Bastar, stato di Chhattisgarh.



Il progetto di costruire qui un'acciaieria è in ballo ormai dal 2005, quando il governo di quello stato ha firmato un memorandum d'intesa con la Tata Iron and Steel Company, parte di uno dei maggiori gruppi industriali indiani. La scelta ha la sua logica: le montagne della regione Bastar racchiudono grandi giacimenti di minerale ferroso, e ià dagli anni '60 c'è un complesso di miniere (altre sono in progetto). L'acciaieria dovrebbe sorgere a valle delle mminiere, non lontano dal capoluogo regionale, in un municipio rurale di nome Lohandiguda; dovrebbe occupare poco più di 2.000 ettari di terreno, di cui metà per lo stabilimento vero e proprio e il resto per uffici, alloggi del personale, strade, scuole, cliniche - una specie di villaggio aziendale. Parte di quelle terre sono del demanio dello stato, forest land - non destinare a usi agricoli o commerciali. Un'altra parte appartiene invece agli agricoltori della zona, piccoli appezzamenti (ci sono circa 1.700 proprietari per poco meno di 600 ettari). E la quasi totalità di questi non vuole cederle: i 10 villaggi del municipio di Lohandiguda sono ferocemente contrari.
La questione è tornata d'attualità in questi giorni perché il Ministero dell'ambiente e delle foreste del governo centrale, a New Delhi, ha approvato il «cambiamento d'uso» delle terre del demanio, che ora potranno essere destinate all'impianto industriale. E' l'ultima autorizzazione che ancora mancava, in teoria la Tata potrebbe procedere con i lavori. Ma la decisione ministeriale non ha chiuso la questione: piuttosto l'ha riaperta. La nuova acciaieria Tata sta diventando un caso per diversi motivi. Uno è che è paradigmatica di mille confllitti simili sparsi per l'India, in cui progetti industriali o minerari sono bloccati dall'opposizione di abitanti che non vogliono rinunciare alla terra. Poi c'è la questione delle terre abitate da popolazioni indigene, che la Costituzione indiana in teoria protegge dall'esproprio: Lohandiguda e tutta la regione Bastar è infatti abitata in prevalenza da nativi, gli adivasi («tribali», nel linguaggio prevalente in India). Infine, è una regione nota come roccaforte della guerriglia maoista attiva in ampie zone dell'India.
Il conflitto si trascina da anni, e in passato ci sono stati scontri violenti. La terra di Lohandiguda è fertile, dà tre raccolti l'anno alternando riso e legumi, ci aveva spiegato tempo fa il signor Hilmu Ram Mandavi, sarpanch (capo del consiglio locale, una carica elettiva) di uno di quei villaggi. Ci ha detto che nel 2006 le autorità avevano convocato gli abitanti a una «consultazione», ma nel capoluogo regionale e sotto la presenza minacciosa della polizia, in pieno stato di emergenza, mentre gli oppositori erano accusati di essere manovrati dai maoisti. Insomma, molti hanno firmato per costrizione. Ora le terre sono in teoria «acquisite», la Tata ha versato i compensi su conti bancari intestati ai proprietari (anche a quelli che non vogliono venderle): ma l'azienda non è ancora riuscita a prenderne possesso, di fronte all'opposizione popolare, e ora le autorità sembrano restie allo scontro frontale. «Sì, la Tata fa grandi promesse, soldi e un lavoro per i giovani. Ma la gente di qui non ha le qualifiche per lavorare in fabbrica. Con la terra invece campiamo, e faremo campare i nostri figli. Per questo non vogliamo darla a Tata».

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