Questo quotidiano, nel numero di mercoledì, riporta la notizia che in Cina la popolazione cittadina ha superato quella rurale. Sicuramente, ciò che ha determinato l’abbandono delle campagne è stata la massiccia industrializzazione della nazione. Ça va sans dire!
Ma c’è un altro fenomeno, invece molto, ma molto triste che ha contribuito al fenomeno dell’urbanesimo, e cioè la deportazione. Ohibò! La deportazione? Sì, la deportazione per la costruzione di grandi opere in territori agricoli. E di queste grandi opere, la peggiore, la più nefasta (fino ad oggi) è stata la ormai tristemente famosa “diga delle tre gole” sul Fiume Giallo, lo Yangtze. Alta 185 metri, lunga 2,3 chilometri, con 85 miliardi di kilowatt di potenza installata, ed un costo di 25 miliardi di dollari, è la più imponente opera infrastrutturale nella storia dell’umanità.E per creare il gigantesco bacino idrico a monte della diga sono stati cancellati dalla carta geografica 75 cittadine e 1.500 villaggi situati nel corso superiore dello Yangtze. E i loro abitanti, circa un milione e mezzo di persone, sono stati letteralmente deportati, ed in buona parte, appunto, urbanizzati, talvolta anche a migliaia di chilometri di distanza.
Ora il governo cinese ammette che si potrebbe essersi sbagliata, che fare la diga potrebbe essere stato un errore. Mi viene la pelle d’oca a leggere che è stato un errore. E la vita rovinata di un milione e mezzo di persone? Quanto è costato, madonna, questo errore? E se fare grandi dighe è un errore, perché le dighe già realizzate e quelle ora previste in Amazzonia, le dighe del Sarawak in Malesia, o le dighe del Narmada in India? Sbagliare non insegna nulla?
No, purtroppo non sono errori, o meglio, lo sono, certo, dal nostro punto di vista, dal punto di vista di chi ha a cuore le sorti del pianeta, ma dal loro punto di vista, di chi governa in Cina, in India, in Brasile, alla ricerca di un sempre maggiore prodotto interno lordo, sono solo funzionali allo scopo. Cina: + 9,2%; India: + 8,3%; Brasile: solo + 3,5, ma punta al 4,7 nel 2012. Produrre, produrre, sempre di più. La crescita infinita. In un mondo finito.
Magari può apparire fuori luogo, se non addirittura blasfemo, ma quando penso a questo drammatico argomento, mi sovvengono delle bellissime e profetiche parole: “vieni, vieni in città, che stai a fare in campagna…come è bella la città…con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce”.
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