Si chiama «progetto di piantagioni di nuova generazione», ma il nome è ingannevole. Si tratta del progetto promosso dagli enti forestali di alcuni governi (Cina, Svezia e Regno unito), un pool di aziende interbazionali del settore (Forestal Mininco/Cmpc, Masisa, Fibria, Mondi, Portucel, Sabah Forestal Industries, Veracel, Stora Enso, Upm-Kymmene), e sostenuto anche dal Wwf, una delle più note organizzazioni ambientaliste internazionali. Il Ngpp (acronimo di «new generation plantation project») consiste nel definire «pratiche sostenibili» per la gestione di piantagioni, e promuoverle presso le aziende forestali, le autorità governative, gli investitori per «promuovere l'adozione delle migliori pratiche nelle piantagioni forestali»: così si legge sul sito del Wwf.
Che argomenta: le piantagioni intensive sono controverse perché distruggono le foreste originarie e altri ecosistemi naturali, oltre ad avere impatti sociali, calpestare i diritti delle comunità locali, e così via, ma non è necessario che sia così, se si adottano pratiche di «foresteria sostenibile».
Il progetto però è contestato da alcune grandi reti ambientali e sociali latinoamericane. Con il progetto delle nuove piantagioni «credono o fanno credere che per magia si risolveranno le contraddizioni intrinseche alla foresteria industriale: accaparramento e concentrazione di terre, espropiazioni delle comunità locali ed esclusione di altre forme produttive già esistenti, dell'esaurimento delle acque e del suolo», si legge in un comunicato della Rete latinoamericana contro la monocultura degli alberi (Recoma), creata durante il Forum sociale mondiale del 2003 (ha rappresentanti in Argentina, Brasile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Paraguay e Uruguay). Questa rete si batte per limitare l'espansione delle monocolture a favore di specie locali adattate al clima e al terreno, di multiuso e a beneficio delle popolazioni locali, con sistema produttivi agroforestali regionali. Insomma: non si coltivino alberi solo per produrre legna e cellulosa per le grandi aziende, olio di palma, biodiesel - o per essere monetizzati sul nascente «mercato del carbonio». Le grandi corporations, conclude il Recoma, «hanno sempre cercato di ridipingere di verde le loro attività commerciali».
Con una conferenza stampa tenuta di recente a Buenos Aires, altre tre reti latinoamericane - la Federazione argentina degli Amigos de la Tierra, il Foro Boliviano Ambiental e la Red de Alerta Contra el Desierto Verde brasiliana - hanno criticato il progetto Ngpp. Sostengono che punta ad aprire le porte del settore forestale al mercato energetico e del carbonio, permettendo così che ancora più terre fertili vengano accaparrate dai grandi gruppi agroindustriali. Fanno notare ad esempio che il sito web del Ngpp cita nove esempi di piantagioni forestali industriali sostenibili che avrebbero «aiutato a proteggere e ampliare la biodiversità»: peccato che cinque di questi casi corrispondano a zone dove le comunità locali e indigene hanno presentato denunce per espropriazioni indebite, distruzioni ambientali e assenza di studi preventivi di impatto ambientale: si tratta delle monocolture «verdi» dell'impresa Upm in Uruguay, della Vercael/Stora Enso in Brasile, della Masisa in Argentina e delle Cmpc/Forestal Mininco in Cile. Il Wwf si sforza di sostenere i «benefici economici e eco-sostenibili» di queste monocolture arboree, che giustifica perché parte del mercato delle commodities (materie prime) - ribattono le tre reti latinoameticane - è proprio questo sistema di produzione industriale che perpetua modelli insostenibili per gli ecosistemi, per le biodiversità, e per gli umani che di queste risorse vivono. Dimenticando che una piantagione forestale non è ne sarà mai un bosco.
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