M. Giufrè, OMAGGI MONUMENTALI AL POTENTE DI TURNO, Il manifesto, 9 agosto 2011
A cinque anni dalla sua pubblicazione, il saggio dell’attuale direttore del Design Museum
Deyan Sudjic Architettura e potere – sottotitolo: «cornei ricchi e i potenti hanno dato forma al mondo» - è stato tradotto da Laterza (pp. 384, euro 20). Un testo di grande attualità, anche se il tema che tratta non è nuovo. Originale, infatti, è
riguardano solo il ruolo egemone che l'architettura ha avuto nei regimi totalitari, bensì l'uso strumentale, per lo più simbolico, che nei secolo scorso e ancora oggi) ne fanno i poteri - esponenti politici o imprenditori- nei paesi democratici. Il titolo originario in inglese, The Edifice Com-
plex («Complesso edilizio») coglie meglio di quello italiano la natura dell'architettura dei potenti. L'inarrestabile spinta dell'ego di despoti e magnati hanno trovato nell'architettura, l'arte e la tecnica idonee alla sublimazione.
È indubbio che fu una forma di psicopatologica ciò che mosse Albert Speer, l’architetto prediletto da Hitler, a progettare per Berlino la gigantesca cupola in pietra, acciaio e cemento alta 290 metri e capace di contenere una folla di 180 mila persone.
Così inimmaginabile era rimodellare Germania - il nuovo nome dato dal Fuhrer alla capitale - pur avendo a disposizione masse schiavizzate di operai e un numero impressionante di mastodontici edifici come la Cancelleria: oggetti straniatiti nel loro classicismo di pietra che sfidava il tempo e intimidiva i passanti. Altrettanto egotico fu Stalin nell'azzardare la costruzione del Palazzo dei Soviet, progetto da Boris Iofan. Per fare spazio all’edificio fu distrutto con la dinamite, nel 1931, la cattedrale del Cristo Salvatore, ricostruita 70 anni dopo da Boris Eltsin lì dove era, sulle rive della Moscova.
E’ noto che i programmi edilizi dei nazisti e dei sovietici seguirono il più retrivo classicismo, tradendo le avanguardie artistiche. A parigi, nella esposizione del 1937, i padiglioni dei due paesi, disegnati rispettivamente da Speer e da Iofan, non si sarebbero distinti se non per i loro simboli: l’uno con con l'aquila e la svastica; l'altro con due contadini che impugnavano falce e il martello.
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