domenica 6 novembre 2011

ITALIA/TERRITORIO E DISCARICHE. BASSO S., All'ombra di Malagrotta, LEFT, 4 novembre 2011


Mentre a Roma infuria la battaglia sui nuovi siti, per i rifiuti della Capitale,
l’avvocato che ha fatto aprire un’indagine per omicidio colposo contro la megadiscarica
rilancia: «La Thyssen ci ha ricordato che l’accettazione del rischio si paga»


Malagrotta come la Thyssen? A paragonare la

megadiscarica della Capitale alla multinazionale

tedesca condannata in primo grado per il rogo

dell’acciaieria di Torino è Francesca Romana

Fragale, l’avvocato che ha appena fatto aprire

l’inchiesta della Procura di Roma sui quattro abitanti

dell’area di Malagrotta morti di tumore tra il

2008 e il 2010. Dopo aver presentato un esposto

per omicidio colposo e disastro ambientale contro

la discarica, il legale di parte civile annuncia

a left che intende rincarare la dose: «La Thyssen

ci ha ricordato che esiste anche il dolo eventuale,

cioè l’accettazione del rischio che l’evento si verifichi.

Farò presente agli organi competenti che anche

in questo caso potrebbe essere astrattamente

configurabile la stessa ipotesi, che è uno scalino

superiore rispetto alla mera colpa per negligenza,

imprudenza e imperizia». Le tragedie, insomma,

possono essere impreviste o messe in conto. E se

qualcuno è davvero morto per l’invaso più controverso

d’Europa, non si può dire che gli allarmi

non ci siano stati. Di certo sono state molte le richieste,

da Roma e da Bruxelles, perché l’impianto

sulla Aurelia si mettesse in regola con le norme

ambientali e l’area venisse bonificata. Fino all’ordine

perentorio di chiusura. Tante volte annunciato,

il pensionamento della discarica viene rimandato

di anno in anno dal 2007. L’ultima proroga

scade il 31 dicembre, ma il sindaco di

Roma già parla di uno slittamento a fine

marzo 2012. «Credo che in Procura

stiano disponendo un’indagine epidemiologica

- spiega il legale che sostiene

le famiglie delle vittime - per verificare

se sussiste o meno il nesso di causalità

tra le emissioni nocive provenienti dalla

discarica e gli eventi lesivi».

I nomi degli indagati di questo ennesimo

procedimento a carico della discarica

gestita dalla Giovi, società del gruppo Colari

di Manlio Cerroni, il monopolista dello smaltimento

dei rifiuti in Lazio, sono ancora secretati.

L’imprenditore, intanto, smentisce qualsiasi legame

tra i suoi impianti e le patologie sviluppate dagli

abitanti cresciuti all’ombra del più grande immondezzaio

d’Europa. L’indiscusso re dei rifiuti,

che ha collezionato procedure di infrazione perché

non trattava la spazzatura prima di interrarla,

questa volta ha dalla sua una sentenza del Tar

che ha annullato l’ordinanza del Campidoglio che

sollecitava una messa in sicurezza dell’area. A far

scattare la richiesta del Comune erano stati gli allarmanti

risultati di uno studio Ispra, confermato

quest’estate dall’Arpa, che rilevava «uno stato di

contaminazione diffuso delle acque sotterranee

per metalli e inquinanti organici». Accanto ad arsenico,

nichel, alluminio, piombo e benzene, con

valori superiori ai limiti di legge sino a 200 volte,

nei pozzi interni ed esterni dell’invaso era stato

trovato anche N-burtilbenzenesolfinammide, una

sostanza cancerogena indicata in letteratura «come

possibile marker di contaminazione da discarica

di rifiuti solidi urbani». Data la presenza di altri

impianti potenzialmente inquinanti, secondo il

Tar, è difficile quantificare l’eventuale «effetto indotto

dalla discarica». A negare quello che nemmeno

il Tribunale amministrativo esclude è Cerroni:

«Malagrotta è una grande vasca isolata senza

collegamento alcuno con l’esterno».

Mentre l’imprenditore e le istituzioni litigano

sull’interpretazione dei dati, gli abitanti del circondario

si ammalano. E alcuni muoiono. Come

Gerardo Ferrante, promotore del comitato Pisana

64, ucciso in pochi mesi da una rara forma di tumore

al cervello. Fino all’ultimo, con un filo di voce,

dava consigli agli amici su come proseguire la

battaglia. Due settimane fa, l’avvocato Fragale ha

presentato alla Procura di Roma 12 nuove cartelle

cliniche per ampliare il dossier della class action

contro quei 240 ettari di rifiuti per 47 metri d’altezza,

l’ottavo colle di Roma, come l’ha soprannominato

qualcuno. Quartieri interi, da Massimina a

Ponte Galeria, trattengono il respiro quando tira

vento, a seconda che soffi il maestrale o la tramontana.

«I rifiuti andrebbero coperti con almeno 20

cm di terra - denuncia Salvatore Damante, ricercatore

ambientale per i comitati - ma spesso non viene

fatto, così l’acido solfidrico si sparge nell’aria,

superando i limiti olfattivi anche di 10 volte». L’11

novembre Francesco Rando, amministratore unico

della Giovi, dovrà tornare in aula dopo tre condanne

penali, per difendersi nuovamente da accuse

di malagestione e danni ambientali.

Intanto la discarica cresce in altezza, inghiottendo

ogni giorno 5mila tonnellate di rifiuti. E alla

sua ombra, Cerroni scava. Da settimane le sue

ruspe sono al lavoro pochi chilometri più in là, a

Monti dell’Ortaccio, allarmando i residenti che temono

che il presidente del gruppo Colari stia preparando

l’alternativa a Malagrotta ancora una

volta sotto le loro finestre. Il timore, insomma, è

che Cerroni voglia giocare d’anticipo sulle autorità

della Capitale che vorrebbero costruire le

nuove discariche a Riano e a Corcolle ma devono

fare i conti con l’opposizione dei cittadini che

il 5 novembre si sono dati di nuovo appuntamento

in piazza. Mister rifiuti scava anche a Testa di

Cane, subito dietro l’invaso storico, e c’è chi ipotizza

che Cerroni stia preparando la pattumiera

per le scorie del suo gassificatore. Perché se la discarica

deve chiudere, la centrale avviata tre anni

fa per bruciare il combustibile da rifiuti dovrebbe

invece espandersi, attivando le seconde e terze

linee. «Quando il Colari decise di collocare il

gassificatore a ridosso della discarica - racconta

Maurizio Melandri, presidente dell’Osservatorio

ambientale della Valle Galeria -, il Comune

di Roma chiese uno studio di sicurezza integrato

per timore dell’effetto domino, perché in questa

area ci sono altri cinque impianti a rischio di incidente

rilevante». Cerroni è riuscito a fare a meno

dello studio e ha costruito la sua centrale con

i finanziamenti Cip6, quelli per le energie pulite.

Oltre a non funzionare a pieno regime (in questi

giorni sarebbe addirittura fermo), il gassificatore

«non chiude affatto il ciclo perché espelle nell’atmosfera

la materia rifiuto e produce nuovi scarti

da trattare e da smaltire per migliaia di tonnellate/

anno», denuncia un documento dell’Osservatorio.

«Durante l’accensione - rincara Damante -

c’è il rischio che si producano diossine». Tutto attorno,

oltre alle zone abitate, ci sono fattorie e pascoli.

Così, se l’inquinamento dovesse filtrare nel

terreno, nell’aria o nelle falde come sostengono

da tempo i comitati, finirebbe immancabilmente

sulla tavola degli italiani.

Il signore della spazzatura nega tutto e ha tappezzato

i cancelli della discarica con nuovi cartelli

che pubblicizzano il suo Progetto di ripristino

ambientale con l’immagine di una grande area

verde. «Nell’arco di 4-5 anni, Malagrotta diventerà

un Parco naturale con oltre 340mila piante»,

scrive Cerroni, che non

ha risposto alle richieste

di intervista di left ma verga

molti comunicati stampa.

«Vuol fare concorrenza

al Central park - chiosa

ironico Sergio Apollonio,

instancabile presidente

del Comitato Malagrotta

-, purtroppo questa discarica

inquinerà ancora per

decenni». Da qui la richiesta

che vengano rispettate

le norme per la gestione post operativa trentennale

dell’impianto, con «controlli costanti della

captazione del biogas e dell’estrazione del percolato

», il liquido che si forma con la putrefazione

dei rifiuti. «Se non si faranno i lavori - avverte

Damante -, il percolato continuerà a uscire, come

effetto delle piogge e del cedimento del terreno.

Purtroppo bisogna ricordarsi che i metalli pesanti

nelle falde danno patologie dopo molti anni».

Così, alla vigilia dell’agognata chiusura della megadiscarica,

la strada per gli abitanti della zona,

stanchi e intontiti dopo trent’anni di battaglie, è

ancora in salita. E alle loro preoccupazioni, si aggiungono

quelle dei residenti di Riano e di Corcolle,

pronti alle barricate contro il progetto di due

nuove discariche sul loro territorio. Perché se Roma

non può finire come Napoli, loro non vogliono

finire come Malagrotta.

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