Mentre a Roma infuria la battaglia sui nuovi siti, per i rifiuti della Capitale,
l’avvocato che ha fatto aprire un’indagine per omicidio colposo contro la megadiscaricarilancia: «La Thyssen ci ha ricordato che l’accettazione del rischio si paga»
Malagrotta come la Thyssen? A paragonare la
megadiscarica della Capitale alla multinazionale
tedesca condannata in primo grado per il rogo
dell’acciaieria di Torino è Francesca Romana
Fragale, l’avvocato che ha appena fatto aprire
l’inchiesta della Procura di Roma sui quattro abitanti
dell’area di Malagrotta morti di tumore tra il
2008 e il 2010. Dopo aver presentato un esposto
per omicidio colposo e disastro ambientale contro
la discarica, il legale di parte civile annuncia
a left che intende rincarare la dose: «La Thyssen
ci ha ricordato che esiste anche il dolo eventuale,
cioè l’accettazione del rischio che l’evento si verifichi.
Farò presente agli organi competenti che anche
in questo caso potrebbe essere astrattamente
configurabile la stessa ipotesi, che è uno scalino
superiore rispetto alla mera
colpa per negligenza,
imprudenza
e imperizia». Le tragedie, insomma,
possono
essere impreviste o messe in conto. E se
qualcuno
è davvero morto per l’invaso più controverso
d’Europa,
non si può dire che gli allarmi
non
ci siano stati. Di certo sono state molte le richieste,
da
Roma e da Bruxelles, perché l’impianto
sulla Aurelia si mettesse
in regola con le norme
ambientali e l’area venisse
bonificata. Fino all’ordine
perentorio
di chiusura. Tante volte annunciato,
il
pensionamento della discarica viene rimandato
di
anno in anno dal 2007. L’ultima proroga
scade
il 31 dicembre, ma il sindaco di
Roma
già parla di uno slittamento a fine
marzo
2012. «Credo che in Procura
stiano
disponendo un’indagine epidemiologica
-
spiega il legale che sostiene
le
famiglie delle vittime - per verificare
se sussiste o meno il nesso
di causalità
tra le emissioni nocive
provenienti dalla
discarica e gli eventi
lesivi».
I
nomi degli indagati di questo ennesimo
procedimento
a carico della discarica
gestita
dalla Giovi, società del gruppo Colari
di
Manlio Cerroni, il monopolista dello smaltimento
dei
rifiuti in Lazio, sono ancora secretati.
L’imprenditore,
intanto, smentisce qualsiasi legame
tra
i suoi impianti e le patologie sviluppate dagli
abitanti
cresciuti all’ombra del più grande immondezzaio
d’Europa.
L’indiscusso re dei rifiuti,
che
ha collezionato procedure di infrazione perché
non
trattava la spazzatura prima di interrarla,
questa
volta ha dalla sua una sentenza del Tar
che
ha annullato l’ordinanza del Campidoglio che
sollecitava
una messa in sicurezza dell’area. A far
scattare
la richiesta del Comune erano stati gli allarmanti
risultati
di uno studio Ispra, confermato
quest’estate
dall’Arpa, che rilevava «uno stato di
contaminazione
diffuso delle acque sotterranee
per
metalli e inquinanti organici». Accanto ad arsenico,
nichel,
alluminio, piombo e benzene, con
valori
superiori ai limiti di legge sino a 200 volte,
nei
pozzi interni ed esterni dell’invaso era stato
trovato
anche N-burtilbenzenesolfinammide, una
sostanza
cancerogena indicata in letteratura «come
possibile
marker di contaminazione da discarica
di
rifiuti solidi urbani». Data la presenza di altri
impianti
potenzialmente inquinanti, secondo il
Tar,
è difficile quantificare l’eventuale «effetto indotto
dalla
discarica». A negare quello che nemmeno
il
Tribunale amministrativo esclude è Cerroni:
«Malagrotta
è una grande vasca isolata senza
collegamento
alcuno con l’esterno».
Mentre
l’imprenditore e le istituzioni litigano
sull’interpretazione
dei dati, gli abitanti del circondario
si
ammalano. E alcuni muoiono. Come
Gerardo
Ferrante, promotore del comitato Pisana
64,
ucciso in pochi mesi da una rara forma di tumore
al
cervello. Fino all’ultimo, con un filo di voce,
dava
consigli agli amici su come proseguire la
battaglia. Due settimane fa, l’avvocato
Fragale ha
presentato
alla Procura di Roma 12 nuove cartelle
cliniche
per ampliare il dossier della class action
contro
quei 240 ettari
di rifiuti per 47 metri
d’altezza,
l’ottavo
colle di Roma, come l’ha soprannominato
qualcuno.
Quartieri interi, da Massimina a
Ponte
Galeria, trattengono il respiro quando tira
vento,
a seconda che soffi il maestrale o la tramontana.
«I
rifiuti andrebbero coperti con almeno 20
cm
di terra - denuncia Salvatore Damante, ricercatore
ambientale
per i comitati - ma spesso non viene
fatto,
così l’acido solfidrico si sparge nell’aria,
superando
i limiti olfattivi anche di 10 volte». L’11
novembre
Francesco Rando, amministratore unico
della
Giovi, dovrà tornare in aula dopo tre condanne
penali,
per difendersi nuovamente da accuse
di
malagestione e danni ambientali.
Intanto
la discarica cresce in altezza, inghiottendo
ogni
giorno 5mila tonnellate di rifiuti. E alla
sua
ombra, Cerroni scava. Da settimane le sue
ruspe
sono al lavoro pochi chilometri più in là, a
Monti
dell’Ortaccio, allarmando i residenti che temono
che
il presidente del gruppo Colari stia preparando
l’alternativa
a Malagrotta ancora una
volta
sotto le loro finestre. Il timore, insomma, è
che
Cerroni voglia giocare d’anticipo sulle autorità
della
Capitale che vorrebbero costruire le
nuove
discariche a Riano e a Corcolle ma devono
fare
i conti con l’opposizione dei cittadini che
il
5 novembre si sono dati di nuovo appuntamento
in
piazza. Mister rifiuti scava anche a Testa di
Cane,
subito dietro l’invaso storico, e c’è chi ipotizza
che
Cerroni stia preparando la pattumiera
per
le scorie del suo gassificatore. Perché se la discarica
deve
chiudere, la centrale avviata tre anni
fa
per bruciare il combustibile da rifiuti dovrebbe
invece
espandersi, attivando le seconde e terze
linee.
«Quando il Colari decise di collocare il
gassificatore
a ridosso della discarica - racconta
Maurizio
Melandri, presidente dell’Osservatorio
ambientale
della Valle Galeria -, il Comune
di
Roma chiese uno studio di sicurezza integrato
per
timore dell’effetto domino, perché in questa
area
ci sono altri cinque impianti a rischio di incidente
rilevante».
Cerroni è riuscito a fare a meno
dello
studio e ha costruito la sua centrale con
i
finanziamenti Cip6, quelli per le energie pulite.
Oltre
a non funzionare a pieno regime (in questi
giorni
sarebbe addirittura fermo), il gassificatore
«non
chiude affatto il ciclo perché espelle nell’atmosfera
la
materia rifiuto e produce nuovi scarti
da
trattare e da smaltire per migliaia di tonnellate/
anno»,
denuncia un documento dell’Osservatorio.
«Durante
l’accensione - rincara Damante -
c’è
il rischio che si producano diossine». Tutto attorno,
oltre
alle zone abitate, ci sono fattorie e pascoli.
Così,
se l’inquinamento dovesse filtrare nel
terreno,
nell’aria o nelle falde come sostengono
da
tempo i comitati, finirebbe immancabilmente
sulla
tavola degli italiani.
Il
signore della spazzatura nega tutto e ha tappezzato
i
cancelli della discarica con nuovi cartelli
che
pubblicizzano il suo Progetto di ripristino
ambientale
con l’immagine di una grande area
verde.
«Nell’arco di 4-5 anni, Malagrotta diventerà
un
Parco naturale con oltre 340mila piante»,
scrive
Cerroni, che non
ha
risposto alle richieste
di
intervista di left ma verga
molti
comunicati stampa.
«Vuol
fare concorrenza
al
Central park - chiosa
ironico
Sergio Apollonio,
instancabile
presidente
del
Comitato Malagrotta
-,
purtroppo questa discarica
inquinerà
ancora per
decenni».
Da qui la richiesta
che
vengano rispettate
le
norme per la gestione post operativa trentennale
dell’impianto,
con «controlli costanti della
captazione
del biogas e dell’estrazione del percolato
»,
il liquido che si forma con la putrefazione
dei
rifiuti. «Se non si faranno i lavori - avverte
Damante
-, il percolato continuerà a uscire, come
effetto
delle piogge e del cedimento del terreno.
Purtroppo
bisogna ricordarsi che i metalli pesanti
nelle
falde danno patologie dopo molti anni».
Così,
alla vigilia dell’agognata chiusura della megadiscarica,
la
strada per gli abitanti della zona,
stanchi
e intontiti dopo trent’anni di battaglie, è
ancora
in salita. E alle loro preoccupazioni, si aggiungono
quelle
dei residenti di Riano e di Corcolle,
pronti
alle barricate contro il progetto di due
nuove
discariche sul loro territorio. Perché se Roma
non
può finire come Napoli, loro non vogliono
finire come Malagrotta.
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