RIO DE JANEIRO — Nem era rannicchiato in un bagagliaio, alla guida dell'auto un guardaspalle insieme a due poliziotti, suoi complici. Lo hanno catturato finalmente nella notte calda di Rio, braccato da giorni, mentre cercava di scappare verso una favela della periferia. Chissà dove, certo un'altra storia rispetto alla gloria e al potere dei quali per un decennio ha goduto come re della Rocinha, capo assoluto dei narcos nella favela più grande di Rio e dell'America Latina.
Quella con la vista sull'oceano da mozzafiato. Nem è un soprannome e significa bambino, e il volto imberbe di Antonio Bonfim Lopes, 34 anni, oggi in prima pagina su tutti i giornali del Brasile, racconta una storia che appare fuori dal tempo in quella che si vanta di essere la sesta potenza mondiale. La Rocinha è una città nella città, si dice che conti 150.000 abitanti: ci sono ancora le baracche di legno dei disperati e le fogne a cielo aperto, ma anche palazzi a sei piani, negozi, banche, autobus e rivendite di cellulari. Ci vengono volontari da tutto il mondo a dare una mano, e i turisti che vogliono assaporare le sensazioni forti del favela-safari. Eppure qui da decenni lo Stato non conta nulla, e deve chiedere il permesso per entrare a meno che non usi i bazooka. Fino a ieri sera tutto doveva passare attraverso il giudizio insindacabile di Nem, il bambino. Boss del narcotraffico da quando adolescente lo era per davvero. Intelligente, spietato ma capace anche di farsi amare: decine di ragazzini camminano nella favela con le protesi che lui ha aiutato a comprare. Gambe perdute nelle sparatorie con la polizia, alle quali lui è sempre riuscito a sfuggire. Nem era il capo perché qui è assai difficile superare vivo i 25 anni e se ci riesci vuol dire che sei il migliore. Girava indisturbato e rispettato. Lo scorso fine settimana era in spiaggia, poi lo hanno visto all'ambulatorio della favela: un'overdose di ecstasy, hanno raccontato, dopo una festa pesante. Di coca no, pare non ne consumasse da anni. Ne aveva visti troppi di banditi più grandi di lui finiti nella follia a causa della polvere bianca che li aveva fatti ricchi.
Storia conclusa per Nem, dunque, e tappi di champagne che volano nel governo di Rio de Janeiro. L'onta dei due traditori delle forze dell'ordine che scortavano il bandito cancellata dalla bella figura di coloro che l'hanno trovato nel bagagliaio: il boss aveva offerto loro un milione di reais, circa 400.000 euro, per lasciarlo andare ma loro hanno rifiutato. E fine soprattutto della extraterritorialità della Rocinha, perché con la cattura del capo la polizia ha il via libera per l'operazione che scatterà nelle prossime ore, quella che conta davvero per gli abitanti della favela. A Rio la chiamano pacificazione: significa che i narcos se ne vanno, con le buone o con le cattive, e lo Stato entra al loro posto. La polizia costruisce un commissariato, ci manda giovani senza vincoli con i narcos e prova a farsi amare dalla popolazione locale, che in molti casi la considera peggio dei banditi. Al posto dei poliziotti che sparano, saccheggiano le case e chiedono il pizzo, giovani agenti ancora fedeli alla loro missione. Finora ha funzionato in altre comunità povere della città, riducendo i tassi di violenza e i pericoli per i turisti. Esistono Upp, unità di polizia pacificatrice, ormai in tutte le favelas affacciate sulle celebri spiagge della città, ma anche attorno al centro e al quartiere di Tijuca, dove c'è lo stadio del Maracanã. Nel grande Complexo do Alemão già inespugnabile roccaforte dei narcos, da qualche mese funziona una funicolare che aiuta gli abitanti a salire e scendere dalle colline ricoperte di casette di mattoni e separate da vicoli dove a stento passano due persone.
La liberazione definitiva della Rocinha potrebbe avvenire nel fine settimana e già sono pronte telecamere ed elicotteri per trasmettere l'evento in diretta. La fuga (fallita) di Nem dovrebbe indicare che i narcos non vogliono o non sono in grado di resistere a una operazione per la quale la polizia ha atteso anni. Che in un altro momento avrebbe potuto causare uno spargimento di sangue inaccettabile dalla città.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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