La Banca mondiale ha una nuova missione: quella di privatizzare i settori idrici di tutti i Paesi dell'orbe terracqueo. Per farlo ha messo in piedi una partnership con le principali multinazionali coinvolte nel business dell'acqua, tra le quali figurano Veolia, Coca Cola e Nestlé. Proprio il presidente della corporation svizzera, Peter Brabeck-Letmathe, è stato eletto al vertice della Water Resources Group, forum che riunisce tutte le principali aziende del comparto e che ha appena ricevuto un finanziamento di 1,5 milioni di dollari dai banchieri di Washington.
Sembra abbastanza evidente che tale prestito rappresenta più una legittimazione politica e una dichiarazione d'intenti, piuttosto che una mossa dettata da esigenze economiche. Peccato che, come fanno notare numerosi gruppi della società civile internazionale, proprio il Water Resources Group sia impegnato in maniera molto attiva a «interferire» con le gestione pubblica e democratica delle risorse idriche, concentrandosi sulla caccia ai profitti che l'oro blu assicura copiosi. Una partnership di questo tipo, quindi, appare in contrasto con la storica e primaria missione della stessa Banca mondiale, che almeno in teoria sarebbe la lotta alla povertà. E' per questo che la World Bank fu fondata, 60 anni fa - anche se ora difende in proma battuta gli interessi delle multinazionali private, lasciando nel dimenticatoio quelli di qualche centinaio di milioni di persone.
Eppure scartabellando i dati della stessa istituzione, ci accorgiamo che ben il 34 per cento dei contratti di fornitura idrica in mano ai privati sono «in sofferenza» o si sono conclusi prima della loro scadenza naturale. Uno dei casi più clamorosi in proposito è quello della Tanzania, dove le ricette della più grande istituzione multilaterale di sviluppo si sono rivelate fallaci e il suo sostegno alla britannica Biwater disastroso, visto che la società nel 2005 si ritirò dopo appena due anni di attività e che nel 2008 fu costretta a pagare al governo di Dar es Salaam un risarcimento danni di oltre tre milioni di euro. Il rapporto annuale dell'Ombudsman del ramo della Banca che presta ai privati riferisce che oltre il 40 per cento dei casi di ricorsi sollevati riguarda progetti legati allo sfruttamento dell'acqua. Dati che dovrebbero almeno far scattare un allarme su come i banchieri di Washington distribuiscono i loro denari.
Le privatizzazioni dei settori idrici, soprattutto nel Sud del mondo, hanno prodotto spesso un aumento vertiginoso delle tariffe e un peggioramento del servizio, con evidenti conseguenze negative sulle fasce più disagiate della popolazione, in alcuni casi oggetto di violazioni dei diritti umani.
Al momento, circa il 90 per cento della cittadinanza mondiale riceve la sua fornitura quotidiana d'acqua tramite aziende pubbliche, mentre sul restante 10 per cento il grande business ricava profitti per un miliardo l'anno. Si può solo immaginare quali potrebbero essere i risultati qualora si dovesse invertire questo trend. Il Water Resources Group ha iniziato una collaborazione con i governi di Giordania, Messico e con lo Stato indiano del Karnataka, mentre c'è un dialogo aperto con Sud Africa, Cina e numerosi altri Paesi.
In breve, il flop delle privatizzazioni del passato non ha insegnato nulla ai banchieri di Washington, che oggi cercano di sfruttare il dramma della crisi finanziaria ed economica e la mancanza di risorse pubbliche per rilanciare le stesse ricette fallimentari che hanno portato alla crisi, ancora una volta sussidiando imprese private che ben poco contribuiscono all'interesse pubblico.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento