A fare due conti, dati Censis alla mano, è come se ogni mattina tutta Bologna e Modena entrassero a Milano e la sera ne uscissero. O come se gli abitanti di Asti, Biella, Cuneo, Verbania e Vercelli si spostassero insieme a Torino. In giornata. Ognuno da solo con la sua auto.
È il pendolarismo italiano verso le grandi città industriali e centri dei servizi. Milano, oltre 500 mila ingressi al giorno. Roma, 290 mila. Napoli, 249 mila. Torino, 242 mila. Impiegati, insegnanti, studenti e operai (in ordine decrescente) che percorrono in media 24 chilometri per andare dove devono. Diminuiscono i residenti in centro e aumentano quelli nei comuni della cintura e nella seconda corona urbana. Dunque aumenta il traffico. Una tendenza che viene colta anche dallo studio Ibm 2011 sulla sofferenza dei pendolari. Idea nata nel 2008 per gli Stati Uniti e poi allargata a tutto il mondo. Ibm è interessata all’argomento perché si occupa da sempre di sistemi intelligenti, tra cui quelli per il traffico.
Però lo studio è su larga scala, 20 città, 8.042 pendolari coinvolti. Risultato: una classifica dei peggiori con in testa Città del Messico, Shenzen e Pechino in Cina e al nono posto, unica metropoli europea, Milano. Interessante è che per gli studiosi Ibm gli ingorghi hanno una ripercussione su salute, rendimento lavorativo e scolastico. Almeno stando ai pendolari intervistati. È lo stesso studio infatti a descrivere questi automobilisti come più lamentosi rispetto all’anno scorso. Molti definiscono il traffico recentemente migliorato, ma allo stesso tempo in dodici delle quindici città presenti sia nella ricerca del 2010 che in quella del 2011 si descrivono più frustrati di prima.
Il che forse non va addebitato solo a problemi stradali ma anche a tempi difficili. In ogni caso, anche a Milano si verifica questa situazione. Nonostante il 27 per cento degli intervistati dichiari che gli ingorghi siano diminuiti negli ultimi tre anni, la vita dei pendolari diventa sempre più problematica: oltre il 60 per cento dei milanesi afferma che nell’ultimo anno il traffico stradale ha accresciuto il proprio livello di stress, mentre il 40 rivela che ha influito negativamente sul proprio rendimento lavorativo o scolastico. Tutte scuse? Può darsi. Ma anche in una città vitale come New York la tendenza non cambia. Lì il 45 per cento degli automobilisti si dice stressato.
Nel 2010 era il 13 per cento. A Los Angeles il 44 contro il 21. A Londra il 33 e ora il 19. A Johannesburg il 52, adesso il 30. Il mondo sembra più insofferente al traffico insomma. Così a livello globale, il 41 per cento dei pendolari sostiene che un aumento dei servizi pubblici ridurrebbe il loro stress. E che se il traffico non occupasse tanta parte della loro vita, almeno un 56 per cento si dedicherebbe volentieri a famiglia e amici, un 48 farebbe più moto e un 29 ne approfitterebbe per dedicarsi al sonno beato. Mentre immaginiamo la liberazione che dev’essere ricevere una telefonata per questi sondaggi e dunque le risposte che ne vengono, va aggiunto che se tra le peggiori metropoli ci sono solo città del Sud del mondo e dell’Est (Nairobi, Bangalore, New Delhi, Mosca sono le altre fin qui non citate), la situazione è in evoluzione.
Per esempio, Pechino ha investito l’anno scorso 9.16 miliardi di euro per i trasporti e Città del Messico ha stanziato 1.8 miliardi di euro per migliorare la sua condizione da prima nella classifica nera dello stress.
La stampa, 11 settembre 2011
francesco.rigatelli@lastampa.it
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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