Si fronteggiano a breve distanza, meno di un chilometro in linea d'aria. Il primo ha la forma di due grandi parentesi contrapposte nella parte convessa, una più alta e una più bassa; il secondo è invece una sorta di nastro di vetro che si srotola partendo da una cuspide posta più in alto. Si tratta delle nuove torri milanesi.
In quella edificata su progetto
di Henry Cobb ha sede la
Regione Lombardia, nell'altra,
opera di Cesar Pelli, si trasferirà
tra poco Unicredit, la
più grande banca italiana. Come
ha notato Silvia Micheli in
un testo dell'atlante di architettura
contemporanea
MMX
Architettura Zona Critica
(a cura
di M. Biraghi, G. Lo Rocco,
S. Micheli, Zandonai, pp. 297, €
26), le nuove architetture evidenziano
i due poteri della capitale
morale: il gruppo dirigente
della politica contrapposto
all'anima finanziaria e
commerciale della città.
Ha dunque ragione Deyan
Sudjic, critico dell’
Observer e
direttore del Design Museum
di Londra, quando scrive all'inizio
del suo volume
Architettura
e potere
che l'architettura ha
che fare col potere dato che
questo impegna grandi risorse
nei piani edilizi, perché costruire
è l'attività precipua dei potenti.
L'attenzione verso l'architettura
è cresciuta notevolmente
nell'opinione pubblica
segno di un interesse che fa dei
progettisti i leader culturali
del XXI secolo. Sudjic ricostruisce
nel suo libro - opera ben
scritta, agile, ricca d'informazioni,
sino al limite del gossip -
le vicende degli architetti del
XXsecolo, da Speer a Piacentini,
da Miralles a Meier; s'inoltra
nelle vicende del costruire
decretato dai regimi totalitari,
ma anche e soprattutto delle
democrazie occidentali.
Se, come dimostra il progettista
di Hitler, Albert Speer,
ma anche Boris Iofan, il costruttore
di Stalin, un architetto
può materializzare l'aspetto
esteriore del fascismo, dello
stalinismo o del saddismo, prima
ancora che i regimi esistano
concretamente, ovvero trasformare
una minacciosa possibilità
in una terribile realtà, è
però anche vero che coloro che
svolgono questo mestiere hanno
inevitabilmente a che fare
col potere, con coloro che possiedono
i mezzi e le ricchezze necessarie
per edificare i loro sogni
di mattoni e cemento. Sudjic
mostra la doppia faccia dell'architettura
scrivendo una dichiarazione
d'amore per l'arte di costruire,
e insieme compiendo
una spietata analisi dei legami
tra questa e i potenti del mondo.
Quando Speer si lamentava con
Hitler per le difficoltà che gli
frapponeva il ministro delle finanze
nazista nella progettazione
della Berlino del Terzo Reich,
il Führer replicava che questi
non si rendeva conto di quale
fonte di entrate avrebbero costituito
per lo Stato nei seguenti
cinquant'anni quegli edifici, alla
pari dei castelli di Ludovico di
Baviera, considerato pazzo, e invece
visitati da migliaia di persone.
Hitler, commenta Sudjic, «rivendicava
per sé l'invenzione
dell'effetto Bilbao».
Ci sono nel libro capitoli straordinari
come quello dedicato alle
biblioteche erette dagli ex presidenti
americani, da Regan a
Bush, da Carter a Clinton; e poi
ancora il ritratto al vetriolo di
Jacques Attali che trasforma un
edificio qualsiasi in una banca
europea spendendo milioni per
ottenere il risultato di colpire
clienti e visitatori. Ci sono descrizioni
di opere di Renzo Piano come
di Norman Foster, ma senza
dubbio il caso più eclatante è
quello di Rem Koolhaas con le
pagine dedicate alle nuove architetture
dei cinesi, i futuri padroni
del mondo. L'architetto olandese,
grande esperto del caos, si
è giocato tutto lavorando per i
suoi committenti governativi
nella costruzione della China Television.
L'autore mette a confronto
Koolhaas con Zhang
Kaiji, il progettista del Museo
della Rivoluzione, finito a riflettere
durante la Rivoluzione culturale,
per dieci lunghi anni, sul
suo lavoro di architetto mentre
spazzava pavimenti.
L'architettura, conclude, serve
a definire un regime, ma non
sono quasi mai gli architetti a
formularne il significato. La necessità
di costruire nasce da un
bisogno primario: realizzare un
rifugio nel senso fisico del termine;
tuttavia con lo sviluppo delle
civiltà umane essa è diventata il
tentativo di affermare una visione
del mondo, sia quando si tratta
di una singola casa sia di palazzi
o grattacieli. Fra un sindaco
che invita un architetto a progettare
un edificio, o un nuovo
complesso abitativo, esiste un
rapporto differente tra quello
che s'instaura tra lo stesso architetto
e gli inquilini che vi dovranno
abitare. Difficile trovare un
dittatore, da Mussolini a Kim Il
Sung, che una volta raggiunto il
potere non si sia impegnato in
una serie di costruzioni. E la cosa
riguarda anche i grandi capitalisti
americani, come mostra
la storia di Nelson Rockfeller.
Nel caso dei grandi architetti
del XX secolo come Le Corbusier
e Mies van de Rohe, e le Archistar
attuali (Frank Gehry,
Rem Koolhaas, Renzo Piano),
non si tratta di liberi creatori: il
loro lavoro dipende sempre dal
grado di coinvolgimento nel contesto
politico. L'architettura in
definitiva ha sempre a che fare
con le medesime cose: potere,
gloria, spettacolo, memoria,
identità. E mentre gli architetti
pensano di usare i potenti e i ricchi
per restare nella storia come
immortali, la loro attività, alla fine,
viene definita non dal loro linguaggio
architettonico, bensì
dal desiderio dei ricchi e dei potenti
di dare una forma almondo
usando la loro arte.
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