Un blog può diventare un osservatorio molto interessante sulla cultura o l’incultura (in senso gramsciano le due cose possono per certi versi coincidere) di un Paese. Alcuni dei commenti ai miei post mi fanno riflettere in questo senso. Beninteso, non pretendo di essere il depositario di alcuna verità e il bello del dibattito in diretta è proprio, se possibile, la ricerca di una verità condivisa. Tuttavia l’accoglimento di alcune coordinate di fondo può risultare utili per orientare il dibattito e renderlo più proficuo.
A tale proposito vi consiglio un libro molto interessante di Edgar Morin, che illustra alcuni principi che dovrebbero guidare l’educazione delle future generazioni. Il libro si intitola “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Non è il caso di procedere qui alla sua esposizione, seppure sintetica, perché i ragionamenti profondi e complessi di cui consta mal si prestano a tale operazione e meritano di essere letti e meditati a partire dall’originale.
Su uno di tali principi però voglio soffermarmi. Si tratta dell’educazione all’identità terrestre. Afferma Morin: “Il destino ormai planetario del genere umano è un’altra realtà fondamentale ignorata dall’insegnamento. La conoscenza degli sviluppi dell’era planetaria che avranno luogo nel XXI secolo e la coscienza dell’identità “terrestre”, che sarà sempre più indispensabile a ciascuno e a tutti, devono diventare obiettivi fondamentali dell’insegnamento”.
Ogni problematica da noi o da altri vissuta va quindi ricollocata in questa cornice planetaria. Si tratta di scelta metodologica oggi più che mai indispensabile per effetto dei processi di globalizzazione che hanno intensificato i flussi di ogni tipo fra le varie parti del pianeta accentuando anche i nessi casuali fra i fenomeni, indipendentemente dal luogo della loro produzione originaria.
Che c’entra tutto ciò con gli strampalati post del sottoscritto? Vorrei fare due brevi esempi.
Il primo riguarda la crisi economica che stiamo vivendo. Intervenendo sul mio ultimo post, che peraltro affrontava il problema solo per inciso, un simpatico signore che presumibilmente di mestiere fa il funzionario di banca o il professore di materie economiche, mi accusa di crassa incompetenza per aver affermato più di una volta che il problema dell’Italia sono le banche, cosa secondo lui non vera. Se collochiamo il problema, seguendo le indicazioni di Morin, nella sua giusta prospettiva planetaria, però, pare innegabile che la questione, non tanto delle banche (che sono solo un aspetto neanche centrale del problema), ma del potere della finanza internazionale sia una delle cause della crisi mondiale e sistemica in corso. Ovviamente il lettore non ha tutti i torti.
Ci sono anche varie specificità italiane che aggravano la situazione interagendo dialetticamente con le cause planetarie. Non ultimo, l’esistenza di una classe imprenditoriale di incompetenti ed irresponsabili, come ad esempio Marchionne, che dopo aver scatenato un’offensiva antisindacale senza precedenti se la prende oggi con i concorrenti rei di chiedere prezzi troppo bassi per le loro vetture (alla faccia del libero mercato!) o quel Riva che dopo aver dilazionato fino all’ultimo le misure necessarie a mettere in sicurezza ambientale la produzione dell’ Ilva, tenta oggi di mobilitare i suoi dipendenti contro la città di Taranto e il diritto a non morire di cancro.
Prima mandiamo questi signori a svernare permanentemente ai Caraibi, nazionalizzando le imprese che conducono in modo indegno e antinazionale, meglio sarà. Resta però il fatto che la crisi ha anche, e direi soprattutto, origini globali e conta moltissimo, come ci ricorda l’ottimo appello del manifesto sul furto di informazione, il modo in cui la si racconta, oggi del tutto sbilanciato a favore del “pensiero unico” nei mezzi d’informazione mainstream, mentre mi fa personalmente piacere il fatto che, forse in parte grazie anche agli strampalati interventi del sottoscritto e quelli meno strampalati di altri, “il Fatto” qualcosa di diverso lo abbia scritto al riguardo.
Il secondo esempio riguarda invece i popoli indigeni del Cauca e la loro lotta per la pace. La distanza antropologica e culturale che alcuni commentatori, presumibilmente di “cultura” leghista ma non solo, ostentano al riguardo, dimostrando di avere degli indigeni una visione degna delle barzellette della “Settimana enigmistica” (anello al naso, osso fra i capelli e pentolone in cui bollire il malcapitato esploratore), è un po’ triste, e mostra che il lavoro da fare è ancora tanto. Mi conforta invece il fatto che Beppe Grillo abbia messo sulla sua pagina un riferimento alla vicenda, in particolare il video nel quale il sergente Garcia (nomen-omen) viene sloggiato dagli indigeni.
Ma anche su questo tema tornerò, per intanto, nel mostrarvi, sul sito dell’organizzazione indigena del Cauca, la foto di un giovane indigeno ucciso dalle forze armate in una sorta di ritorsione mafiosa per essere stati cacciati via dal territorio ancestrale, vi ricordo che, nella condivisibile visione planetaria di Edgar Morin, comunità di destino planetario significa che non possiamo disinteressarci oggi di alcuna lotta per la pace e i diritti e che una sorte comune ci lega oggi ai Nasa del Cauca o ai Mapuche cileni, così come ai miliardi di cittadini del pianeta in lotta con le oligarchie finanziarie e imperiali. Prendiamone atto!
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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