Baltasar De la Cruz è il nome spagnolizzato, Tix Villom quello maya. L'indirizzo è «casa 30 San Juan Cotzal»: perfino l'indirizzo di Baldazar rappresenta la storia di sopraffazioni e resistenza del popolo Maya Ixil del Quichè, in Guatemala. Nebaj Chajul Cotzal. Baltazar abita tra via Jorge Broll, il latifondista di origine italiana che ha sottratto le terre ai suoi antenati e oggi sfrutta la manodopera locale tra terrore e semischiavitù, e via sottotenente Hernandez, un militare che si distinse per i massacri compiuti durante l'ultima dittatura. Per questo gli abitanti di San Felipe Chenlà, zona di quei massacri, indicano l'indirizzo solo con il numero della casa.
Durante la sua recentissima visita in Italia (e a Marsiglia, dove ha partecipato al Forum mondiale sull'acqua), Baltasar ci ha raccontato come le comunità Ixil, ancora traumatizzate dai massacri subiti durante la guerra civile, combattono ora la disgregazione sociale - a cui contribuisce l'arrivo dei predicatori delle sette evangeliche. Molti però ancora praticano i rituali Maya, e nutrono un profondo rispetto per la Madre terra di cui fanno parte e che devono proteggere per le generazioni future. La loro economia contadina non può essere disgiunta dalla loro cosmo visione, spiega Baltasar - che a soli 26 anni fa parte dell'alcaldìa indigena, gli è stato consegnato con un rituale maya la «vara», il bastone simbolo dell'autorità ancestrale tramandato da generazioni. Un potere parallelo a quello statale, del resto assente, l'unico che si occupa del benessere della comunità.
A 16 anni Baltazar ha lavorato nella piantagione a raccogliere caffè. Il lavoro era così duro dalle 5 del mattino alle 7 di sera sotto il sole, che tutti erano costretti a prendere pillole stimolanti e marijuana per farcela. Il tutto per 9 quetzales a tonnellata; in un giorno riusciva a tagliarne circa 5 per 47 quetzales, cinque dollari. Ha studiato fino alle superiori ma non ha potuto frequentare l'università - troppi, per la sua paga, 1.800 dollari alll'anno. Vorrebbe fare l'avvocato per difendere la sua comunità e non dispera di riuscirci in futuro.
Le comunità Maya Ixil di questa zona sono tra le più colpite dalla violenza scatenata durante la guerra civile, quando l'esercito massacrò la popolazione del Quiché con la scusa di combattere la guerriglia: la zona ricorda 120 massacri, senza contare gli stupri delle ragazze e i morti per fame. Questa esperienza drammatica ha minato un'intera generazione, lasciando tracce profonde nella psiche e nel corpo. Baltazar sottolinea il terrore con cui le comunità Ixil hanno visto tornare l'esercito, durante le proteste contro l'Enel che sta costruendo una diga nel loro territorio, nel bacino del fiume Cotzal.
A questo si aggiunge oggi uno stato di estrema povertà: le case non sono riscaldate, benché la temperatura scenda a 8 gradi d'inverno, manca l'energia elettrica, ci si sposta a piedi, spesso si cammina più di un'ora per andare a coltivare i campi. E quando l'Enel ha incanalato alcuni torrenti, i contadini della zona sono stati costretti a vendere i loro terreni ormai incoltivabili.
Il fatto è che gli accordi di pace che misero fine alla guerra civile non sono stati applicati, restano enormi problemi sociali: e con la diffusione del narcotraffico molti giovani sono diventati manovalanza per le maras, gangs. Quando a Cotzal è arrivata la violenza, uccisioni, estorsioni, perfino bambini uccisi, la comunità ha cercato di andare alle cause del problema - il conflitto armato interno, il clima di violenza in cui è cresciuta un'intera generazione - e affrontare il problema facendo ricorso al diritto indigeno che non è punitivo ma reintegra i trasgressori nella comunità: così sono riusciti dove il vicino stato del Messico ha fallito, ora Cotzal è un paese tranquillo.
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