la guerra si sarebbe potuto più estesamente esercitale su regioni come il Mali e oltre. D 22 marzo i corrispondenti intemazionali hanno dato l'annuncio che un colpo di stato militare era stato scatenato dalle truppe di un esercito ben armato ma mal pagato, quello del Mali. Un esercito imbevuto di un nazionalismo che cova soprattutto tra l'etnia più numerosa, i Bambara (la cui lingua è, con il francese, di fatto l'idioma nazionale) che da secoli combattono i Tuareg e che ritengono troppo debole l'intervento del governo centrale.
I Tuareg vogliono l'indipendenza e non esitano da sempre a ricercare l'appoggio dell’Algeria e a ricattare di fatto le compagnie minerarie operanti nella zona.
I Tuareg sono stati i sostenitori più fedeli di Gheddafi, sino all'ultimo. Dei resto la loro rete parentale e tribale si estende sino al Niger, Paese che ha svolto e svolge un molo centrale come territorio di retrovia delle tribù gheddafiane. I ribelli hanno ora deposto il presidente Amadou Toumani Tourè, il quale si trova asserragliato nella capitale Bamako protetto da truppe a lui fedeli. I capi della rivolta (tra i quali spicca il capitano Amadou Sano- go, il quale si autodefinisce addestrato dai marines) dichiarano di volere il ritorno dei civili appena la rivolta Tuareg sarà schiacciata Del resto è vero che si è dinanzi a un tentativo separatista, come si profila anche in Libia, del resto.
Questa frammentazione preoccupa le grandi compagnie che lavorano nella regione, prima fra tutte
la Rangold Resources, che è una vera propria potenza interstatale che aveva manifestato già forti preoccupazioni per la caduta di Gheddafi in Libia, temendo reazioni a catena tra le diverse etnie e i diversi poteri tribali a sud della Libia stessa. Profezia realizzatasi. Naturalmente gli Stati confinanti riuniti in ima associazione interstatale priva di poteri d'intervento — Ecowas — e l'Unione Europea, di cui lampante è l'inanità, hanno confermato il loro appoggio al presidente deposto, che potrebbe anche risolvere a suo favore la situazione militare.
Rimane tuttavia la questione irrisolta: come stabilizzare un’area che rischia, finito il potere ghedda- fiano, d’esplodere tra mille frammentate realtà identitarie, giù giù sino al Congo, dove non a caso in questi giorni sono ripresi i combattimenti ai confini del Ruanda Sembra che una catasta di mattoni tenuta un tempo insieme dai regimi autocratici ma non islamisti del Nòrd Africa, con il collasso della Libia stia lentamente decomponendosi, trascinando nella decomposizione i sistemi di potere che si erano stabilizzati dopo la «guerra dei grandi laghi» che dieci anni or sono aveva dato pace e «normalità» al nuovo Congo.
Anche in questi casi, come in Iraq e in Afghanistan, l'intervento armato si rivela foriero di gravi conseguenze impreviste, illudendo tutti coloro che pensavano che il ricorso alle armi avrebbe risolto ogni problema
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