Si parla tanto di cerscita ma dovremmo avere il coraggio di dire cosa non può più crescere. Il consumo di territorio, la speculazione edilizia, l'edilizia costruttiva e distruttiva, il consumo di cemento sicuramente no.
Sessanta anni fa il Polesine. Quarantacinque anni fa Firenze, ed eravamo ragazzini quando andammo per giorni e giorni a toglier fango dai libri della Biblioteca nazionale. Proprio come i ragazzi che hanno ripulito Genova nelle settimane scorse. Quasi nessuna regione risparmiata e a volte colpita più volte e in zone diverse, la Calabria e quel campeggio spazzato via a Soverato, la Campania e quella montagna di fango che travolge Sarno, la Versilia e la Lunigiana, il Piemonte tante volte ad Alessandria e ad Alba, la Sicilia colpita in queste ore e ancora una volta a Messina invasa dall'acqua e dalle frane come due anni fa, il Veneto, Vicenza e Venezia, la Liguria, le tante volte di La Spezia e il martirio di Genova (alluvionata 29 volte in 50 anni). Queste al momento mi ricordo ma sui siti web potete trovarle tutte e impallidire alla lettura. Da oltre mezzo secolo sappiamo che tre quinti del nostro territorio nazionale è a rischio di alluvioni, frane, erosioni e dissesti. Da oltre dieci anni sappiamo che anche i cambiamenti climatici (una realtà che tanti hanno sottovalutato e alcuni persino negato) rendono ancora più drammatica la situazione e ancora più fragile il territorio. Abbiamo tanti dati forniti dal consiglio nazionale dei geologi, da molti ricercatori, dai metereologi, dalla protezione civile, dalle agenzie regionali per l'ambiente, dalle associazioni ambientaliste. Sappiamo ad esempio che consumiamo più cemento pro capite degli Stati Uniti e che ogni anno 250.000 ettari di territorio vengono cementificati (nel Veneto ad esempio pur essendo aumentata la popolazione di 400.000 unità , i 128 milioni di metri cubi costruiti erano commisurati ad un aumento di 850.000 unità e queste case non solo erano il doppio di quelle necessarie ma avevano anche una tipologia adatta a classi medie e dunque alti costi, mentre i 400.0000 abitanti in più erano immigrati, anziani e giovani) e temo che lo stesso dato troveremmo anche in molte altre regioni. Sappiamo che il territorio agro silvo pastorale si riduce ad una velocità pazzesca, e che l'abbandono dell'agricoltura è un fattore in crescita costante che determina minore controllo sul territorio e soprattutto nessuna attenzione alla riforestazione in particolare nelle aree pedemontane. Conosciamo, per averle visitate, decine di aree artigianali e di insediamenti abitativi costruiti nelle aree di esondazione dei fiumi (aree che non dovevano mai essere urbanizzate e che invece decine di varianti ai piani regolatori o piani regolatori generali inesistenti hanno consentito di urbanizzare), possiamo fare un lungo elenco di fiumi importanti e di torrenti tombinati, irregimentati o deviati (pratica decennale che ha stravolto l'assetto idrogeologico di tantissimi bacini idrografici e che non andava autorizzata), vantiamo addirittura una centrale nucleare, quella di Caorso, costruita ai limiti dell'area di esondazione del Po. Non ci siamo fatti mancare nulla.
Tutte queste cause messe insieme hanno prodotto quelli che Cederna chiamava "brandelli d'Italia". Le risorse necessarie alla prevenzione e alla messa in sicurezza del nostro territorio nazionale si aggirano sui 40 miliardi di euro mentre quelle realmente investite negli ultimi vent'anni sono state appena 400 milioni di euro. Mentre per indennizzi, ricostruzioni e riparazione dei danni a posteriori si sono spesi (male e molto spesso per ricostruire negli stessi luoghi interessati da inondazioni e frane) 52 miliardi di euro in cinquant'anni e se sommiamo gli indennizzi post terremoti la cifra arriva a 213 miliardi di euro! Una cifra mostruosa!
Da decenni sappiamo quel che andrebbe fatto, ma non lo abbiamo mai fatto: passare dall'incuria alla cura del territorio, dalla speculazione selvaggia alla pianificazione sostenibile, dalla edilizia costruttiva alla edilizia di recupero e manutenzione, dall'intervento a posteriori alla prevenzione. Non possiamo più sprecare soldi e natura, non vogliamo perdere altre vite umane, non possiamo far vivere milioni di persone in condizioni di insicurezza.
Per questa ragione l'assenza di qualsiasi riferimento ai temi della qualità dello sviluppo e alla sostenibilità ambientale nel discorso di insediamento del Presidente del consiglio Monti ci ha delusi e ci preoccupa parecchio. Tra economia ed ecologia e tra ecologia e nuova occupazione vi sono molti più intrecci di quelli che tanti economisti assai poco innovatori e riformatori riescono a vedere: un territorio sicuro per i cittadini e per le attività produttive è la condizione prima di qualsiasi sviluppo possibile, e un paesaggio di qualità è la ricchezza fondamentale dell'Italia.
Rimettiamo, per l'ennesima volta e testardamente questo tema all'attenzione delle forze sociali, politiche e dei governi nazionale e locali: perché in un paese che va sott'acqua una settimana sì e l'altra pure non c'è sviluppo possibile. Si parla tanto di crescita, mentre dovremmo avere il coraggio di dire cosa può e deve ancora svilupparsi e cosa invece non può più crescere. Il consumo di territorio, la speculazione edilizia, l'edilizia costruttiva e distruttiva, il consumo di cemento sicuramente non possono e non devono più crescere. Mentre devono crescere l'edilizia di manutenzione e recupero, l'agricoltura di qualità, la manutenzione dei fiumi e dei torrenti. Da una parte dei soldi che potrebbero entrare dalla patrimoniale, da un taglio di 1,5 miliardi alle spese militari, dallo storno delle risorse destinate all'inutile Ponte sullo Stretto, possono derivare le risorse ordinarie necessarie a mettere in sicurezza e a curare il nostro territorio.
Se non è una grande opera questa, se non è una grande riforma civile come vogliamo chiamarla? Soldi ordinari, senza commissari straordinari, gestiti dai Comuni e dalle Regioni e rendicontati annualmente. E da subito l'istituzione di una sorta di Servizio Civile Giovanile Regionale che si occupi dei primi lavori di manutenzione e pulitura dei corsi d'acqua.
*Presidenza nazionale Sel
Tutte queste cause messe insieme hanno prodotto quelli che Cederna chiamava "brandelli d'Italia". Le risorse necessarie alla prevenzione e alla messa in sicurezza del nostro territorio nazionale si aggirano sui 40 miliardi di euro mentre quelle realmente investite negli ultimi vent'anni sono state appena 400 milioni di euro. Mentre per indennizzi, ricostruzioni e riparazione dei danni a posteriori si sono spesi (male e molto spesso per ricostruire negli stessi luoghi interessati da inondazioni e frane) 52 miliardi di euro in cinquant'anni e se sommiamo gli indennizzi post terremoti la cifra arriva a 213 miliardi di euro! Una cifra mostruosa!
Da decenni sappiamo quel che andrebbe fatto, ma non lo abbiamo mai fatto: passare dall'incuria alla cura del territorio, dalla speculazione selvaggia alla pianificazione sostenibile, dalla edilizia costruttiva alla edilizia di recupero e manutenzione, dall'intervento a posteriori alla prevenzione. Non possiamo più sprecare soldi e natura, non vogliamo perdere altre vite umane, non possiamo far vivere milioni di persone in condizioni di insicurezza.
Per questa ragione l'assenza di qualsiasi riferimento ai temi della qualità dello sviluppo e alla sostenibilità ambientale nel discorso di insediamento del Presidente del consiglio Monti ci ha delusi e ci preoccupa parecchio. Tra economia ed ecologia e tra ecologia e nuova occupazione vi sono molti più intrecci di quelli che tanti economisti assai poco innovatori e riformatori riescono a vedere: un territorio sicuro per i cittadini e per le attività produttive è la condizione prima di qualsiasi sviluppo possibile, e un paesaggio di qualità è la ricchezza fondamentale dell'Italia.
Rimettiamo, per l'ennesima volta e testardamente questo tema all'attenzione delle forze sociali, politiche e dei governi nazionale e locali: perché in un paese che va sott'acqua una settimana sì e l'altra pure non c'è sviluppo possibile. Si parla tanto di crescita, mentre dovremmo avere il coraggio di dire cosa può e deve ancora svilupparsi e cosa invece non può più crescere. Il consumo di territorio, la speculazione edilizia, l'edilizia costruttiva e distruttiva, il consumo di cemento sicuramente non possono e non devono più crescere. Mentre devono crescere l'edilizia di manutenzione e recupero, l'agricoltura di qualità, la manutenzione dei fiumi e dei torrenti. Da una parte dei soldi che potrebbero entrare dalla patrimoniale, da un taglio di 1,5 miliardi alle spese militari, dallo storno delle risorse destinate all'inutile Ponte sullo Stretto, possono derivare le risorse ordinarie necessarie a mettere in sicurezza e a curare il nostro territorio.
Se non è una grande opera questa, se non è una grande riforma civile come vogliamo chiamarla? Soldi ordinari, senza commissari straordinari, gestiti dai Comuni e dalle Regioni e rendicontati annualmente. E da subito l'istituzione di una sorta di Servizio Civile Giovanile Regionale che si occupi dei primi lavori di manutenzione e pulitura dei corsi d'acqua.
*Presidenza nazionale Sel
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