PARIGI - L'autobus della linea 52 ferma a pochi metri dalla sbarra e dai divieti di ingresso, e a due passi c'è la fermata del métro. La città intorno vive a un ritmo un po' più rallentato rispetto ai quartieri turistici (la Tour Eiffel non è lontana) o a quelli multietnici come Barbès, ma ci sono pur sempre i soliti tabacchini e supermercati. Villa Montmorency, la più insospettabile delle gated community (comunità chiusa) europee, si è ricavata uno spazio inviolabile proprio qui, all'interno della Parigi già malinconica e alto borghese del XVI arrondissement, quella fotografata con maestria e benevolenza da Vittorio Storaro in «Ultimo Tango», e bollata dai parigini più inclini all'invidia sociale come «il quartiere dei ricchi»: ambasciate, consolati, sedi di rappresentanza delle grandi società (Eads, per esempio), condomini per famiglie molto benestanti, scarsa diversità sociale e zero vita notturna. Un mortorio, insomma.
Ma all'interno del mortorio del «XVI» c'è una zona ancora più riparata e protetta, sorvegliata 24 ore su 24 da tre turni di due guardiani all'ingresso, e poi guardie private di notte, e telecamere, cancelli e - sembra un cliché ma è vero - anche un po' di filo spinato. «La Villa Montmorency non è pubblica», si legge sui cartelli, anche se le sei avenue che la compongono sono regolarmente indicate nelle cartine della città e fanno parte a tutti gli effetti del comune di Parigi.
Nella Francia che da sempre vede la ricchezza con sospetto, che ha cominciato a crocifiggere Dominique Strauss-Kahn quando salì su una Porsche Panamera (ben prima dello scandalo del Sofitel) e che ancora non perdona a Nicolas Sarkozy le vacanze sullo yacht di Vincent Bolloré nel 2007, c'è una «città proibita» nel cuore della capitale che è fisicamente inaccessibile ai cittadini comuni, e che si batte contro il progetto del sindaco Delanoë di costruire, dall'altra parte del boulevard, le case popolari imposte dalla legge, che darebbero ospitalità a 200 persone meno abbienti. I residenti di Villa Montmorency, poco propensi al protagonismo, hanno fondato una specie di associazione di copertura - «Porte d'Auteuil environnement» - per impedire con petizioni e proteste la costruzione di «Hlm» (abitazioni ad affitto moderato) che finirebbero per snaturare la natura esclusiva - è il caso di dirlo, visto che esclude gli altri - della zona.
Lontanissima dal clima politico ed economico di questi giorni, tutto «aumento dell'Iva» e «Tobin Tax» a destra come a sinistra, non sfiorata dal vento di sobrietà obbligata che soffia in tutta Europa, Villa Montmorency esibisce i cartelli «divieto di accesso» e «proprietà privata» arroccandosi nella sua fortuna. Sembra impossibile perché le strade in teoria sarebbero spazio pubblico, eppure i due guardiani sono irremovibili e non fanno entrare nessuno che non sia stato invitato dall'interno.
Qui si trova forse la più impressionante densità di miliardari di Francia. Il più ricco è Vincent Bolloré (la decima fortuna del Paese, 3,8 miliardi di euro) che ha comprato due case anche per due dei suoi figli, e ha conosciuto a Villa Montmorency il vicino di casa Tarak Ben Ammar, produttore; poi Arnaud Lagardère, presidente del consiglio di amministrazione di Eads, Antoine Arnault (figlio di Bernard e capo della comunicazione di Louis Vuitton), il fondatore di Free e proprietario (con Pierre Bergé e Mathieu Pigasse ) di Le Monde , Xavier Niel. Ha casa dentro Villa Montmorency anche Dominique Desseigne, patron dell'impero di alberghi e casinò Barrière e amico intimo del presidente Nicolas Sarkozy, che preferì farsi ospitare qui da lui nei momenti più duri della separazione con Cécilia. Davanti ai confini della residenza, nella via privata Pierre Guérin, c'è anche la casa di Carla Bruni-Sarkozy, che spesso tralascia l'Eliseo per passare qualche serata domestica in compagnia del marito. E poi i personaggi dello spettacolo Sylvie Vartan e Céline Dion (casa da 47 milioni di dollari), il presidente del Festival di Cannes, Gilles Jacob, e (fino a qualche anno fa) Gérard Depardieu e Carole Bouquet.
Il regolamento condominiale prevede che ogni albero morto o tagliato debba essere immediatamente sostituito, proibisce i barbecue e i tagliaerba troppo rumorosi, limita a due le automobili concesse a ogni famiglia, e piccoli veicoli elettrici portano la spazzatura fino all'entrata per evitare il rumore del camion della nettezza urbana. Nato in America Latina perché la classe media potesse proteggersi dalla violenza delle favelas, il fenomeno urbanistico delle gated community ha prosperato negli Stati Uniti e nel resto del mondo anglosassone ma trova qui a Parigi, nella Francia dell' égalité , la sua applicazione più contraddittoria. E dire che la nascita della «città proibita» dei ricchi si deve alla Rivoluzione francese. Rovinata dal 1789, la figlia della marchesa Marie-Charlotte de Boufflers vendette nel 1822 il suo parco alla famiglia di Montmorency che, trent'anni dopo, lo passò a sua volta alla compagnia della ferrovia Parigi-Saint Germain. Usata una parte del terreno per costruire i binari, la compagnia si mise d'accordo con lo Stato per permettere la costruzione di «case di campagna e ornamentali» negli ettari restanti, in base a una disciplina giuridica speciale che ha resistito da metà Ottocento fino a oggi.
«Si tratta di una sorta di confisca dello spazio pubblico», dice lo storico Claude Quétel che a Villa Montmorency dedica un capitolo del libro appena uscito « Murs - Une autre histoire des hommes ». Domenica sera, in onda su nove reti televisive, il presidente Nicolas Sarkozy ha denunciato il persistente problema degli alloggi come una delle maggiori difficoltà dei francesi, annunciando misure urgenti per la costruzione di case accessibili, nuova priorità del governo di centrodestra. A Villa Montmorency, dove gli appartamenti più modesti in affitto costano 4.000 euro al mese, e le ville con giardino sono in vendita per non meno di 15 milioni di euro, non la pensano così.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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