Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu (Ipcc) ha pubblicato la sintesi finale del suo sesto rapporto. Questo documento di una quarantina di pagine può essere considerato l’ultimo avviso della comunità scientifica: contenere il riscaldamento globale entro parametri ragionevoli (+1.5°C di aumento della temperatura) è ancora possibile, ma servono tagli profondi e immediati alle emissioni di gas serra.
Non ci sarà un altro avviso: il prossimo rapporto uscirà a fine decennio, quando ormai sapremo se la rotta sarà stata corretta. L’Ipcc è l’organismo creato dalle Nazioni unite all’inizio degli anni Novanta per aggregare la scienza sul clima prodotta nei centri di ricerca del mondo e metterla a disposizione di chiunque gestisca potere, che siano capi di governo, ministri, sindaci, amministratori delegati.
Questa sintesi chiude il sesto ciclo, non contiene nuove informazioni rispetto ai tre mega-capitoli pubblicati da agosto 2021, ma racchiude il punto di vista complessivo della scienza sul collasso. Da oggi, e per i prossimi sette anni che ci separano dal nuovo ciclo, la partita sarà solo politica.
Il 79 per cento di questa crisi deriva dalle emissioni legate ai combustibili fossili: carbone, petrolio e gas usati per elettricità, trasporti, riscaldamento degli edifici e produzione industriale.
La sintesi è stata pubblicata mentre in Italia arrivava un nuovo rigassificatore, negli Stati Uniti era stato approvato un nuovo immenso giacimento di petrolio in Alaska e in Cina sono in fase di autorizzazione 168 nuove centrali a carbone.
Il mandato della scienza a questo punto sembra quasi una preghiera: le emissioni devono raggiungere un picco al massimo nel 2025, quasi dimezzarsi entro la fine di questo decennio e azzerarsi a partire dal 2050.
Nel 2022 hanno continuato a crescere, +0,9 per cento rispetto all’anno precedente, raggiungendo il massimo storico di sempre: 39,8 Gigatonnellate.
Le tecnologie per farlo esistono, i loro costi sono crollati (-55 per cento l’eolico, -85 per cento il fotovoltaico, -85 per cento le batterie al litio), oggi non è più un problema di cosa fare o come farlo, ma del tempo che si impiegherà per farlo.
Per usare le parole del segretario generale dell’Onu Guterres ispirate all’ultimo film vincitore dell’Oscar: «Il nostro mondo ha bisogno di azione per il clima everything, everywhere, all at once», tutto, dappertutto e tutto insieme.
L’Ipcc riconosce che la transizione è costosa: oggi il mondo investe 600 miliardi di dollari all’anno per la transizione, questa cifra va moltiplicata per 3/6 per essere all'altezza della sfida.
Non è una situazione ideale, ma «i costi dell’inazione sarebbero molto più alti», dice il rapporto e, in ogni caso, per usare le parole di Lucia Perugini, una delle autrici italiane che partecipano all’Ipcc, «la scienza non è negoziabile».
Siamo come un malato che ha ricevuto una cattiva notizia e una buona: la malattia è seria ma si può curare, però serve un trattamento drastico. Una cura non dovrebbe essere aperta a trattative se in ballo c’è la sopravvivenza del paziente.
La temperatura è aumentata più negli ultimi 50 anni che nei precedenti 2.000, la concentrazione di CO2 in atmosfera non era così alta da 2 milioni di anni, quella di metano da 800mila anni.
L’aumento globale di temperatura è già +1.1°C, la soglia di sicurezza +1.5°C potrebbe essere superata per la prima volta già nel prossimo decennio, da lì saremo in territorio non mappato, dove i singoli collassi (permafrost, Artico, circolazione atmosferica sull’Atlantico, barriera corallina, criosfera) rischiano di potenziarsi a vicenda.
Con gli impegni attuali siamo viaggiando verso un aumento di +2.8°C entro fine secolo, con le policy attuate oggi siamo addirittura di +3.2°C. Insomma, non bastano più né le azioni né le promesse già fatte, serve di più.
IL «SALTO QUANTICO»
Come spiega Elena Verdolini del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, focal point italiano dell’Ipcc, «non dobbiamo mandare il messaggio che una volta superato di 1.5°C tutto è perduto. Ogni taglio di emissioni conta».
Ma se una frenata di emergenza ci permetterà di rimanere intorno a +1.5°C, vivremo un cambiamento climatico al quale possiamo pensare di adattarci cambiando la forma della città, delle case, delle infrastrutture e dei sistemi sanitari.
Oltre +2°C ci troveremmo di fronte invece a un cambiamento oltre ogni capacità di adattamento, con eventi estremi sempre più frequenti, un innalzamento del mare più marcato, la produzione di cibo che non potrà tenere il passo della crescita di popolazione e la scarsità d'acqua che diventerà sempre più acuta.
A quel punto i rischi climatici si incroceranno con quelli non climatici, come pandemie, guerre, conflitti per l’uso del suolo e delle risorse idriche.
Questa sintesi è però un messaggio di speranza: siamo ancora nella fase storica in cui i disastri peggiori possono essere evitati, a patto di essere disposti a un «salto quantico».
Le prospettive di questo balzo sono state descritte da Guterres nella presentazione del rapporto, l’Acceleration Agenda dell’Onu. I paesi sviluppati devono raggiungere zero emissioni più vicino possibile al 2040, le economie emergenti più vicino possibile al 2050.
Tutta l’elettricità deve diventare rinnovabile nel 2035. Bisogna fermare l’approvazione di ogni nuovo progetto fossile e ogni espansione delle riserve attuali. I settori più difficili (cargo, aviazione, acciaio, alluminio, cemento) devono trovare il modo di decarbonizzarsi entro il 2050.
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