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http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/09/news/india_la_rivolta_dei_sepolti_nel_nome_di_gandhi_cosi_difendiamo_la_nostra_terra_-177776134/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T1
“Dal 2 ottobre, compleanno del Mahatma Gandhi, abbiamo iniziato la zaamen samadhi satyagraha (la protesta della sepoltura), in segno di profondo attaccamento alla nostra terra: è un atto di forza morale non violento. Satyagraha significa infatti richiesta di ascolto della verità. Chi manifesta ha perso o sta perdendo i propri terreni a causa dei piani del governo, che colpiscono oltre 2.500 famiglie nell’area, 18 colonie residenzialie 20 dhani (piccoli conglomerati di case, ndr)”, spiega a la Repubblica Nagendra Singh Shekhawat, leader del Nandeer Movement e coordinatore della protesta: “Crediamo che l’acquisizione non sia avvenuta con metodi democratici: oltre l’80 per cento delle parti coinvolte non ha ceduto le proprie terre. E anche quanti l’hanno fatto, in cambio di compensazioni non adeguate, vogliono riaverle: sostengono che la Jda abbia usato diversi metodi di pressione per ottenerle”.
Proprio quanto contestano i coltivatori di Nindar. Del 2010, la pubblicazione della prima notifica di acquisizione della Jda, poche settimane fa il via ai lavori: negli ultimi sette anni le comunità locali hanno provato a esprimere il loro dissenso, rimanendo però inascoltate. Fino alla settimana scorsa, quando hanno scelto di seppellirsi per attirare l’attenzione. Dal 7 ottobre hanno anche iniziato lo sciopero della fame. Tra le decine di manifestanti, in prima fila, ci sono soprattutto donne, principale forza motrice dell’agricoltura in India, da cui dipende oltre il 60 per cento della popolazione.
“Chiediamo di fermare il processo in corso: il diritto dei contadini a rimanere per la sussistenza dovrebbe essere fondamentale, inviolabile: serve una nuova indagine sulle terre”, afferma Singh. Sebbene infatti nel 2013 il governo abbia emanato un nuovo Land Acquisition Act, che prevede un’equa compensazione e maggiore trasparenza nell’acquisizione della terra, il leader della protesta spiega che la Jaipur Development Authority ha applicato una legge del 1894, ossia dell’epoca coloniale britannica, che ovviamente non salvaguarda le persone sfrattate.
“La domanda più importante da porsi è: progresso verso cosa e per chi? Creare infrastrutture unicamente a beneficio di altri e a spese delle comunità locali non è sviluppo, ma sfruttamento”, aggiunge Singh, che ritiene fondamentale il ruolo dellacomunità internazionale e vede nella globalizzazione una sfida complessa, ma anche un’opportunità per diffondere maggiore consapevolezza sui diritti dei popoli. Quanto alla protesta, all’alba del terzo giorno senza cibo, si mostra fiducioso: “È una lotta dura, sfiancante. Ma le persone non hanno perso la speranza. Il governo parrebbe aprirsi alla negoziazione di fronte all’attenzione dei media”, conclude, precisando: “Se vogliono rubarci le nostre terre, dovranno passare coi bulldozer sopra le nostre teste. Siamo pronti a morire per non cederle. Speriamo di riuscire a scuoterne le coscienze”.
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