Gli ikebiri sono una piccola comunità del delta del fiume Niger. Vivono di pesca e di agricoltura. Sono guidati da un consiglio di anziani e da un re, Francis Timi Ododo. E da oggi sono in causa contro l'Eni. In Italia. È la prima battaglia giudiziaria mossa da un villaggio nigeriano direttamente alla sede della multinazionale, a Milano.
La causa, portata avanti per conto della comunità dall'avvocato Luca Saltalamacchia, e supportata fin dall'inizio dall'associazione “Friends of the Earth Nigeria”, parte da un incidente del 5 aprile 2010, quando uno sversamento di petrolio lungo un ramo del Delta danneggiò gravemente i terreni delle famiglie Ikebiri.
Arrivarono allora, mostrano i documenti allegati alla causa, i tecnici della Naoc, Nigerian Agip Oil Company, la società che per Eni opera su quel territorio fin dagli anni '60. E segnarono in un report che si trattava di un guasto tecnico, non di un sabotaggio. «Dopo aver ricevuto un contributo di primo soccorso di circa 6mila euro, la comunità non ha mai accettato le altre proposte di risarcimento, perché oltre ai fondi ha sempre preteso anche la bonifica», spiega a l'Espresso l'avvocato. Per la Naoc invece quelle terre sono pulite, non hanno bisogno di interventi.
Per la comunità non è così. A settembre del 2016 ha incaricato un laboratorio di analisi chimiche di verificare lo stato dei terreni che da sempre appartengono alla tribù. Il prelievo è di 10 campioni, si legge, sia nella zona prossima all'incidente che a due chilometri di distanza. I risultati arrivano due mesi dopo. E la quantità di idrocarburi registrata dal laboratorio va da 97,1 a 207 milligrammi al chilo presenti nel suolo. Il limite, scrive il chimico che redige la relazione, sarebbe di 50 milligrammi. Dall'incidente sono passati sette anni.
«La nostra comunità non può più attendere», dichiara ora nel comunicato stampa il re, Francis Timi Ododo: «Per troppo tempo, ormai, abbiamo dovuto sopportare l'inquinamento causato da Eni. Abbiamo visto morire i nostri pesci e le nostre colture. Ci appelliamo al tribunale italiano, sperando di ottenere finalmente giustizia».
Di fronte al ribadire di Naoc che le bonifiche non sono necessarie, infatti, la comunità ha deciso di fare il grande passo. Ovvero ha scelto di reclamare i propri diritti in Italia, non in Nigeria. «Ci sono risoluzioni Onu che invitano a favorire l'accesso alla giustizia delle vittime ambientali. Dobbiamo creare una nuova sensibilità giuridica. L'Eni ha approvato in questi anni codici etici e strumenti di autoregolamentazione molto stringenti per il rispetto delle comunità e dell'ambiente. È perché questo rispetto sia reale, e vincolante, che chiediamo giustizia», aggiunge ora Saltalamacchia.
«È inutile nascondersi: non sarà facile che il giudice riconosca la propria competenza sul caso», continua l'avvocato: «Anche in Gran Bretagna c'è appena stata una sentenza contraria. Ma secondo noi è evidente dalla normativa europea che questa nostra azione legale non è un azzardo». Un precedente a cui pensa è del 2015, quando la Shell acconsentì a pagare 55 milioni di sterline alla comunità Bodo (15mila e 600 persone, fra contadini e pescatori dalle terre devastati da sversamenti, avvenuti fra il 2008 e il 2009) sempre nel delta del Niger, pur di evitare un contenzioso a Londra.
Dallo stato di Bayelsa, in Nigeria, la strada porta così a Milano. Con un villaggio che chiede che anche i diritti siano globalizzati. E così la giustizia.
LA RISPOSTA DELL’ENI
La nota di replica dell’azienda italiana al nostro articolo: «Naoc, una delle società controllate di Eni che opera in Nigeria, ha sempre operato in modo responsabile sul territorio. In relazione all’oil spill che avrebbe interessato la comunità Ikebiri nel 2010, la società Naoc ha avviato un dialogo costruttivo con gli esponenti della comunità Ikebiri, ed è intervenuta in modo tempestivo ed efficace per bonificare i siti interessati, che sono stati oggetto di ispezione da parte delle autorità competenti nigeriane con esito positivo.Tuttavia alcuni membri della comunità Ikebiri avevano già promosso un procedimento giudiziario presso la corte competente nigeriana nell’ambito del quale la società Naoc, in quanto titolare delle attività, sta fornendo tutti i chiarimenti necessari in ordine alla risoluzione della controversia. Eni è stata informata dell’inizio di procedimenti giudiziari in Italia in merito a tali vicende».
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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