Gentile direttore,
anche io come Sandro Medici mi sono indignato per la copertina del quotidiano Il Tempo. Quel titolo, con un sarcasmo fuori luogo sui Rom, lascia intendere che di fronte a un’emergenza straordinaria, come quella che ha colpito Roma pochi giorni fa, non tutti gli esseri umani hanno diritto a ricevere la stessa assistenza. E’ l’espressione di una cultura razzista che, da uomo e medico, respingo con fermezza. E, allo stesso modo, condivido l’idea che Roma abbia bisogno di un nuovo paradigma di sviluppo che ponga fine, una volta per tutte, all’espansione urbanistica selvaggia che ha caratterizzato molte fasi della storia di questa città.
Non è un caso che oggi Roma abbia un Assessorato alla Rigenerazione Urbana. Il nostro modello è costruire una nuova visione di città basata sulla rigenerazione del patrimonio esistente e sullo stop al consumo di suolo.
Se la ‘terra non respira’ ciò è dovuto infatti anche a una pianificazione irrazionale delle nostre città. Quella dell’abusivismo a Roma, ad esempio, è una lunga storia che comincia con le cosiddette zone F, costruite abusivamente fuori dal Piano regolatore del 1931 e riconosciute con il Piano Regolatore Generale del 1965. Nel complesso la storia parla di circa 900 mila vani realizzati al di fuori di un disegno urbanistico, dove vive circa un terzo della popolazione. In questi primi 8 mesi di governo della città è stata avviata una vera e propria inversione di tendenza. La nostra Giunta ha innanzitutto cancellato 161 proposte di nuova edificazione lasciate in eredità dalla amministrazione Alemanno. Una cementificazione che avrebbe investito 2400 ettari, di cui circa 2000 di agro romano. Abbiamo, inoltre, negato ogni permesso a costruire in aree con evidenti rischi idrogeologici. Contestualmente sono stati avviati i primi interventi di rigenerazione urbana.
L’ex caserma di via Guido Reni, grazie a un accordo con il Ministero dell’Economia, l’Agenzia del Demanio e la Cassa Depositi e Prestiti, ospiterà la Città della Scienza e nuovi alloggi di housing sociale. A breve sarà pubblicato inoltre un bando per l’assegnazione delle terre pubbliche ai giovani agricoltori. Siamo di fronte, insomma, a una fase nuova per la città.
E’ evidente, tuttavia, che Roma non può affrontare in solitudine gli enormi problemi che ha di fronte. L’alluvione lampo dei giorni scorsi ha causato danni per 243 milioni di euro. Una ferita profonda per la città. La difesa del suolo è un’emergenza nazionale, come ci ricordano le cronache. Paghiamo oggi, e a caro prezzo, anni di speculazione edilizia e politiche irrispettose dell’ambiente e dei cittadini. Servono strumenti normativi e risorse dedicate. Un piano di difesa del suolo viene di volta in volta evocato dai governi nazionali, senza grandi risultati concreti.
Per fronteggiare l’emergenza, nel frattempo, abbiamo stanziato 10 milioni di euro con l’obiettivo di assistere le famiglie coinvolte e riqualificare le aree alluvionate. Chiederemo inoltre al Governo la possibilità di poter attenuare i vincoli del Patto di Stabilità per realizzare i necessari interventi di recupero. Nei primi mesi di questo mandato abbiamo pulito 25mila tombini. Un intervento costato 3 milioni di euro ma che ha interessato solo il 5% dell’intera rete: infatti per la sua vasta superficie Roma dispone di 500mila tombini.
Di fronte alle criticità ogni amministratore deve saper operare delle scelte. Io non ho mai scaricato su altri le mie responsabilità. La città che ho ereditato è una città complessa e problematica. Il mio obiettivo è quello di restituirle, in 5 anni, un futuro e il ruolo che le compete. Ho fatto un patto con i cittadini: a loro, alla fine del mio mandato, dovrò rendere conto del lavoro svolto. Governare la città, per me, significa operare delle scelte nell’interesse della collettività.
* Ignazio Marino è il sindaco di Roma
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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