La pressione delle compagnie petrolifere e l'estrazione illegale del legno fanno salire la tensione. Governo in allarme
QUITO
«Ho l'impressione che sia il principio di una guerra che preoccupa soprattutto i Haorani, perché la maggior parte di loro non si sente sicuro e credo che in questa zona nei prossimi tempi ci possano essere ancora delle vittime». Con queste allarmanti parole termina l'incontro con Eduardo Pichilingue Ramos, coordinatore dei diritti collettivi dell'Ecuador, che da anni segue da vicino le popolazioni ancestrali dell'Amazzonia
C'è effettivamente preoccupazione all'indomani della situazione venutasi a creare nella zona sud-est della selva ecuadoriana dopo la tragedia dello scorso 29 marzo, quando nella provincia dell'Orellana, 30 componenti della tribù dei Tagaeris-Taromenanis sono stati uccisi dai "cugini" della nazionalità Huaorani che hanno oltretutto catturato due bambine del gruppo avversario come bottino di guerra. La vendetta consumata, è scattata all'idomani dell'uccisione dei due capi tribù Huaorani, Ompure e Buganey, avvenuta il 5 marzo da parte dei Taromenanis in località Yarentero. Ci sono varie versioni su quest'uccisione ma la più attendibile al momento risulta essere quella secondo cui le tribù Tagaeri-Taromenani vedevano nelle figure di Ompure e Buganey una minaccia per i loro stretti rapporti con i coloni delle imprese del legno.
Questi tragici eventi hanno scosso la "pacifica" convivenza delle tre popolazioni indigene e hanno suscitato preoccupazione nella società civile, che in data 10 aprile 2013 si è data appuntamento all'esterno del ministero delle Risorse non Rinnovabili dell'Ecuador per chiedere al Ministro Pastor di aprire un'inchiesta. Il timore principale è che si possa ripetere ciò che avvenne 10 anni fa, quando l'eccidio di altri 16 Tagaeri in località Cuchiyacu (provincia del Pastaza) rimase senza nessun responsabile durante il governo di Lucio Gutierrez.
Dal 2003 ad oggi, nella zona sud orientale dell'Amazzonia non si erano registrati fatti di sangue tra le tribù che popolano quest'area ricca di risorse naturali. Nella provincia dell'Orellana e del Pastaza vivono circa 220 mila abitanti (secondo l'ultimo censimento del 2010) di cui 3000 membri della comunità Haorani e circa 300 indigeni tra Tagaeri e Taromenani. Queste due ultime comunità indigene, denominate «isolate» o «non contattate», dal 1956 hanno rifiutato qualsiasi relazione con la civiltà esterna, in quanto si sono sempre viste minacciate dalla invadente penetrazione delle imprese petrolifere e dalla continua estrazione legale e illegale del legno.
Espansione e destabilizzazione
È sembra proprio quest'ultimo fattore a scatenare questa nuova escalation di violenza dell'ultimo periodo, secondo Eduardo Pichilingue che precisa: «Negli ultimi decenni l'espansione delle compagnie transnazionali del petrolio e quelle legate all'estrazione del legno è aumentata in quest'area. Tutto questo ha fortemente destabilizzato la vita degli indigeni che hanno visto limitare il loro accesso alle risorse naturali e di conseguenza la lotta per la sopravvivenza si è resa sempre più difficile».
Intanto sul versante istituzionale, il governo Correa ha aperto un'inchiesta governativa per chiarire la vicenda e ha realizzato due missioni sul territorio con la presenza della polizia, dell'esercito, del procuratore della Repubblica Galo Chiroboga Zambrano e di alcuni funzionari del ministero degli Interni. Le due bambine catturate, nel frattempo, sono state curate e vaccinate e oggi si trovano in buono stato di salute come ha dichiarato alcuni giorni fa la ministra della Giustizia Johana Pesántez. che ha oltretutto precisato in un'intervista televisiva: «Abbiamo realizzato vari pattugliamenti aerei e terrestri per l'investigazione del caso, ma al momento non si è riuscito a localizzare nessun cadavere che possa avallare l'ipotesi di questa mattanza o di questo supposto attentato avvenuto nei confronti delle popolazioni isolate».
Al momento ci sono ancora molti lati oscuri di questa vicenda ma ciò che è ben chiaro è che quelli avvenuti il 5 e il 29 marzo non sono semplicemente due episodi di un conflitto interno tra clan, come ha inoltre dichiarato il presidente della Repubblica Correa lo scorso 16 aprile nella città di Colimes. Dietro c'è un processo molto complesso che parla d'altro. In Ecuador lo sfruttamento delle risorse ha fatto gola a innumerevoli imprese multinazionali, alle oligarchie del paese che negli anni hanno accumulato enormi ricchezze e ha fatto gola alle mafie locali legate soprattutto all'estrazione del legno. Tutto questo ha però inciso sulla pacifica convivenza delle popolazioni ancestrali con la pachamama («madre terra» in lingua Kicwa).
Nel frattempo con l'arrivo dell'economista Rafael Correa si sono realizzati alcuni cambiamenti positivi rispetto ai governi passati in materia di politica mineraria. Ma d'altro canto si sono create molte aspettattive poi trasformatesi in critiche per le contraddizioni che ancora emergono nella sua stessa politica governativa.
I cambiamenti positivi tra gli altri riguardano i nuovi contratti con le imprese petrolifere a favore dello Stato. Con il Decreto Esecutivo n°662 in base alla riforma alla legge 42 / 2006 si è stabilito che i profitti staordinari delle multinazionali sarebbero stati del 99% a favore dello stato e del'1% a favore delle stesse imprese (nel governo precedente di Alfredo Palacios la percentuale era del 50%), mentre i profitti ordinari sarebbero aumentati fino all'80% rispetto al 20% del passato.
La nuova Costituzione approvata il 28 settembre 2008 stabilisce, attraverso gli articoli 313 e 318, il diritto dello Stato ad amministrare, regolare, controllare e gestire i settori strategici quali l'energia, le telecomunicazioni, l'acqua e le risorse naturali non rinnovabili. E infine, il processo di ammodernamento delle attrezzature e infrastrutture delle compagnie petroliere pubbliche esistenti (Petro Ecuador e Petro Amazonas) a partire dal 2011, attraverso la promulgazione della legge organica delle imprese pubbliche.
Le responsabilità dello stato
Le critiche però, come detto non mancano, anzi. Varie organizzazioni sociali e ambientaliste come Acción Ecológica dichiarano da tempo che in Amazzonia la politica estrattiva dello Stato deve essere assolutamente cambiata e gradualmente eliminata e nel caso della mattanza dello scorso marzo si ritiene lo stato responsabile. Intanto c'è un tavolo di dialogo tra le due parti, ossia tra il governo e le associazioni e lunedì 22 aprile c'è stato un incontro pubblico con il ministro della Difesa, il General Oswaldo Jarrin.
Durante l'incontro il rappresentante legale dell'organizzazione Acción Ecológica, Marcello Orellana, ha presentato al ministro un rapporto nel quale si dichiara la responsabilità totale dello Stato nell'eccidio avvenuto e chiede un incontro a livello nazionale con tutte le organizzazioni indigene e organismi dei diritti umani. Il ministro ha dichiarato che ci sono state varie ispezioni nella zone per recuperare i cadaveri e capirne di più e che c'è in atto un lavoro congiunto con le rappresentanze etniche della zona, con gli organismi della difesa dei diritti umani e i rappresentanti del governo per fare chiarezza
«Ho l'impressione che sia il principio di una guerra che preoccupa soprattutto i Haorani, perché la maggior parte di loro non si sente sicuro e credo che in questa zona nei prossimi tempi ci possano essere ancora delle vittime». Con queste allarmanti parole termina l'incontro con Eduardo Pichilingue Ramos, coordinatore dei diritti collettivi dell'Ecuador, che da anni segue da vicino le popolazioni ancestrali dell'Amazzonia
C'è effettivamente preoccupazione all'indomani della situazione venutasi a creare nella zona sud-est della selva ecuadoriana dopo la tragedia dello scorso 29 marzo, quando nella provincia dell'Orellana, 30 componenti della tribù dei Tagaeris-Taromenanis sono stati uccisi dai "cugini" della nazionalità Huaorani che hanno oltretutto catturato due bambine del gruppo avversario come bottino di guerra. La vendetta consumata, è scattata all'idomani dell'uccisione dei due capi tribù Huaorani, Ompure e Buganey, avvenuta il 5 marzo da parte dei Taromenanis in località Yarentero. Ci sono varie versioni su quest'uccisione ma la più attendibile al momento risulta essere quella secondo cui le tribù Tagaeri-Taromenani vedevano nelle figure di Ompure e Buganey una minaccia per i loro stretti rapporti con i coloni delle imprese del legno.
Questi tragici eventi hanno scosso la "pacifica" convivenza delle tre popolazioni indigene e hanno suscitato preoccupazione nella società civile, che in data 10 aprile 2013 si è data appuntamento all'esterno del ministero delle Risorse non Rinnovabili dell'Ecuador per chiedere al Ministro Pastor di aprire un'inchiesta. Il timore principale è che si possa ripetere ciò che avvenne 10 anni fa, quando l'eccidio di altri 16 Tagaeri in località Cuchiyacu (provincia del Pastaza) rimase senza nessun responsabile durante il governo di Lucio Gutierrez.
Dal 2003 ad oggi, nella zona sud orientale dell'Amazzonia non si erano registrati fatti di sangue tra le tribù che popolano quest'area ricca di risorse naturali. Nella provincia dell'Orellana e del Pastaza vivono circa 220 mila abitanti (secondo l'ultimo censimento del 2010) di cui 3000 membri della comunità Haorani e circa 300 indigeni tra Tagaeri e Taromenani. Queste due ultime comunità indigene, denominate «isolate» o «non contattate», dal 1956 hanno rifiutato qualsiasi relazione con la civiltà esterna, in quanto si sono sempre viste minacciate dalla invadente penetrazione delle imprese petrolifere e dalla continua estrazione legale e illegale del legno.
Espansione e destabilizzazione
È sembra proprio quest'ultimo fattore a scatenare questa nuova escalation di violenza dell'ultimo periodo, secondo Eduardo Pichilingue che precisa: «Negli ultimi decenni l'espansione delle compagnie transnazionali del petrolio e quelle legate all'estrazione del legno è aumentata in quest'area. Tutto questo ha fortemente destabilizzato la vita degli indigeni che hanno visto limitare il loro accesso alle risorse naturali e di conseguenza la lotta per la sopravvivenza si è resa sempre più difficile».
Intanto sul versante istituzionale, il governo Correa ha aperto un'inchiesta governativa per chiarire la vicenda e ha realizzato due missioni sul territorio con la presenza della polizia, dell'esercito, del procuratore della Repubblica Galo Chiroboga Zambrano e di alcuni funzionari del ministero degli Interni. Le due bambine catturate, nel frattempo, sono state curate e vaccinate e oggi si trovano in buono stato di salute come ha dichiarato alcuni giorni fa la ministra della Giustizia Johana Pesántez. che ha oltretutto precisato in un'intervista televisiva: «Abbiamo realizzato vari pattugliamenti aerei e terrestri per l'investigazione del caso, ma al momento non si è riuscito a localizzare nessun cadavere che possa avallare l'ipotesi di questa mattanza o di questo supposto attentato avvenuto nei confronti delle popolazioni isolate».
Al momento ci sono ancora molti lati oscuri di questa vicenda ma ciò che è ben chiaro è che quelli avvenuti il 5 e il 29 marzo non sono semplicemente due episodi di un conflitto interno tra clan, come ha inoltre dichiarato il presidente della Repubblica Correa lo scorso 16 aprile nella città di Colimes. Dietro c'è un processo molto complesso che parla d'altro. In Ecuador lo sfruttamento delle risorse ha fatto gola a innumerevoli imprese multinazionali, alle oligarchie del paese che negli anni hanno accumulato enormi ricchezze e ha fatto gola alle mafie locali legate soprattutto all'estrazione del legno. Tutto questo ha però inciso sulla pacifica convivenza delle popolazioni ancestrali con la pachamama («madre terra» in lingua Kicwa).
Nel frattempo con l'arrivo dell'economista Rafael Correa si sono realizzati alcuni cambiamenti positivi rispetto ai governi passati in materia di politica mineraria. Ma d'altro canto si sono create molte aspettattive poi trasformatesi in critiche per le contraddizioni che ancora emergono nella sua stessa politica governativa.
I cambiamenti positivi tra gli altri riguardano i nuovi contratti con le imprese petrolifere a favore dello Stato. Con il Decreto Esecutivo n°662 in base alla riforma alla legge 42 / 2006 si è stabilito che i profitti staordinari delle multinazionali sarebbero stati del 99% a favore dello stato e del'1% a favore delle stesse imprese (nel governo precedente di Alfredo Palacios la percentuale era del 50%), mentre i profitti ordinari sarebbero aumentati fino all'80% rispetto al 20% del passato.
La nuova Costituzione approvata il 28 settembre 2008 stabilisce, attraverso gli articoli 313 e 318, il diritto dello Stato ad amministrare, regolare, controllare e gestire i settori strategici quali l'energia, le telecomunicazioni, l'acqua e le risorse naturali non rinnovabili. E infine, il processo di ammodernamento delle attrezzature e infrastrutture delle compagnie petroliere pubbliche esistenti (Petro Ecuador e Petro Amazonas) a partire dal 2011, attraverso la promulgazione della legge organica delle imprese pubbliche.
Le responsabilità dello stato
Le critiche però, come detto non mancano, anzi. Varie organizzazioni sociali e ambientaliste come Acción Ecológica dichiarano da tempo che in Amazzonia la politica estrattiva dello Stato deve essere assolutamente cambiata e gradualmente eliminata e nel caso della mattanza dello scorso marzo si ritiene lo stato responsabile. Intanto c'è un tavolo di dialogo tra le due parti, ossia tra il governo e le associazioni e lunedì 22 aprile c'è stato un incontro pubblico con il ministro della Difesa, il General Oswaldo Jarrin.
Durante l'incontro il rappresentante legale dell'organizzazione Acción Ecológica, Marcello Orellana, ha presentato al ministro un rapporto nel quale si dichiara la responsabilità totale dello Stato nell'eccidio avvenuto e chiede un incontro a livello nazionale con tutte le organizzazioni indigene e organismi dei diritti umani. Il ministro ha dichiarato che ci sono state varie ispezioni nella zone per recuperare i cadaveri e capirne di più e che c'è in atto un lavoro congiunto con le rappresentanze etniche della zona, con gli organismi della difesa dei diritti umani e i rappresentanti del governo per fare chiarezza
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