giovedì 9 maggio 2024

INQUINAMENTI AMBIENTALI. VENETO. PIETROBELLI G., “In Veneto 4mila morti in più a causa dei Pfas”: la ricerca di Università e ISS punta il dito sullo studio mai realizzato dalla Regione, IL FATTO, 9.05.2024

 Tutti coloro che hanno sottovalutato, sottostimato, sminuito i danni provocati per decenni dalle sostanze perfluoroalchiliche sulla popolazione di tre province del Veneto devono ricredersi. I famigerati Pfas, che hanno inquinato la falda del Vicentino, del Veronese e del Padovano, quasi certamente riconducibili alla produzione industriale della Miteni di Trissino, hanno causato una mortalità ben superiore a quella prevista su base statistica, soprattutto a causa di malattie cardiovascolari e tumori. Almeno quattromila decessi in più, in un arco di 34 anni, costituiscono il prezzo pagato dagli abitanti dei 30 comuni che fanno parte della “zona rossa”, quella che ha solo con la falda, ma ha anche avuto gli acquedotti inquinati. Una ricerca choc dell’Università di Padova, realizzata in collaborazione con il Registro dei tumori dell’Emilia Romagna, con l’Istituto Superiore di Sanità e con la collaborazione del Movimento Mamme No Pfas, si è tradotta in una pubblicazione i cui risultati sono agghiaccianti. Non solo. Costituiscono un atto d’accusa nei confronti del mancato svolgimento di un’indagine epidemiologica che la Regione Veneto aveva previsto fin dal 2016.


Promesse non mantenute, come ilfattoquotidiano.it ha svelato in numerosi servizi. All’epoca era stato addirittura preparato un protocollo d’intesa per la collaborazione scientifica tra l’amministrazione regionale e l’Iss. Poi tutto si era improvvisamente arenato, per ragioni “non tecniche, ma politiche”, come era emerso da alcune testimonianze nel corso del processo per disastro ambientale in corso in Corte d’assise a Vicenza.

“3.890 DECESSI IN PIU’” – Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Health e ha rivelato l’impatto devastante della contaminazione sulla mortalità della popolazione, che ha interessato circa 350 mila persone, per l’inquinamento venuto alla luce nel 2013. La ricerca è stata condotta dal professore Annibale Biggeri, assieme al suo gruppo di lavoro dell’Università di Padova, in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna e il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità. Un contributo è stato dato dalle Mamme No Pfas che hanno spiegato: “Dal 1985 al 2018 si è registrato un eccesso di oltre 3800 morti rispetto all’atteso, una morte in più ogni 3 giorni. È come se in questi 34 anni fosse scomparsa la popolazione totale di due comuni dell’Area Rossa: Orgiano (3000 abitanti) ed Asigliano (800 abitanti)”. Infatti, le morti attese su base statistica rispetto alla media avrebbero dovuto essere 47.731, mentre la contabilità dei decessi ha raggiunto quota 51.621.

TUMORI E MALATTIE CARDIOVASCOLARI – “Abbiamo trovato evidenze di un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari (soprattutto malattie cardiache e cardiopatia ischemica) e malattie neoplastiche maligne, tra cui il cancro al rene e il cancro ai testicoli”. Così scrivono i ricercatori che hanno ricondotto la causa all’ingestione di acqua inquinata dalle sostanze chimiche. Se l’aumento dei decessi si è verificato per tutte le cause nella popolazione che abita nell’area contaminata, lo studio “ha dimostrato per la prima volta un’associazione causale tra l’esposizione ai Pfas e un rischio elevato di morte per malattie cardiovascolari”. Inoltre, l’analisi delle diverse classi d’età ha evidenziato “un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età: la popolazione più giovane, esposta ai Pfas già durante l’infanzia, è quella che paga il prezzo più alto”.

MADRI PIÙ PROTETTE – Per quanto riguarda le donne in età fertile è stato “osservato, in modo sorprendente, un effetto protettivo, che potrebbe essere attribuito al trasferimento, già ampiamente documentato in letteratura scientifica, delle sostanze perfluoroalchiliche dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento, e alla conseguente diminuzione di livelli di Pfas nelle madri”. E questo spiegherebbe anche perché le coorti più giovani della popolazione sono risultate più colpite, forse perché hanno cominciato ad assumere Pfas in quantità eccessiva fin dal primo sviluppo.

“LA REGIONE FACCIA LO STUDIO NEGATO DA 5 ANNI” – Sono anni che le Mamme No Pfas chiedono alla Regione del Veneto di effettuare uno studio epidemiologico, per il quale esistevano già delibere di giunta. “Queste drammatiche evidenze scientifiche – scrive ora il Movimento – sottolineano che non esistono più scuse per ritardare ulteriormente l’avvio dello Studio di Coorte, deliberato dalla Regione del Veneto già nel 2016, ma mai iniziato. Il Piano di Sorveglianza Sanitaria non basta perché ha metodi e obiettivi diversi”.

Invece, lo Studio di Coorte è fondamentale “perché consente un’analisi a lungo termine, l’identificazione dei fattori di rischio e il delineamento di informazioni per le politiche di salute pubblica”. Il Piano di Sorveglianza Sanitaria è stato avviato dalla Regione nel 2017, ha invitato a visite sanitarie 106 mila persone (hanno risposto in 64 mila nella prima fase). Altre 22 mila sono state invitate a una seconda visita dopo quattro anni (hanno risposto in 13 mila). “Il Piano fornisce informazioni preziose sulla salute della popolazione esposta, ma lo Studio di Coorte è un complemento indispensabile per comprendere a fondo l’impatto della contaminazione da Pfas sulla salute umana. Ci interfacceremo con tutti gli enti e le istituzioni preposte perché siano comprese la necessità e l’urgenza di questo Studio di Coorte di cui la popolazione colpita ha diritto! I Pfas vanno messi totalmente al bando”.

TUTTI I COMUNI INDAGATI – Lo studio del professor Biggeri ha riguardato la popolazione dei seguenti comuni. Zona Rossa A: Alonte, Asigliano Veneto, Brendola, Lonigo, Sarego, Noventa Vicentina, Orgiano e Pojana Maggiore in provincia di Vicenza, Montagnana in provincia di Padova, Cologna Veneta, Pressana, Roveredo di Guà e Zimella in provincia di Verona. Nella Zona Rossa B: i Comuni (o loro parti) di Agugliaro e Val Liona in provincia di Vicenza, Urbana, Borgo Veneto, Casale di Scodosia, Lozzo Atestino, Megliadino San Vitale e Merlara in provincia di Padova, Albaredo d’Adige, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe, Terrazzo e Veronella in provincia di Verona.


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