L’onda di fuoco che distrugge la foresta amazzonica, polmone di ossigeno e biodiversità, è stata rafforzata dalle scelte irresponsabili del presidente brasiliano Jair Bolsonaro.
Ma la sua causa più profonda è il sistema economico planetario, basato sulla ricerca del profitto e sullo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. In queste settimane è stato fatto osservare come le fiamme servano a convertire la foresta pluviale in terreno adatto alle colture agroindustriali. A cominciare dalla soia, che alimenta milioni e milioni di maiali, la metà in Cina. Il recente film «Soyalism» dei giornalisti Stefano Liberti ed Enrico Parenti descrive bene questo meccanismo perverso e distruttivo, un Leviatano agroindustriale che mette in pericolo il futuro dell’umanità. Per evitare il disastro - così come si dovrebbe fare per l’emergenza climatica - servono azioni radicali ed efficaci. Servono fatti concreti. Non bastano certo le (molto pubblicizzate) promesse di futuri «comportamenti etici» delle grandi corporation, le stesse che hanno portato la Terra sull’orlo del collasso.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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