Anatoly è seduto sul letto, lo sguardo rivolto verso la televisione. E’ arrivato a Krasnoarmiis’k da due giorni, dopo aver attraversato a piedi il confine che separa l’Ucraina dalla secessionista Repubblica Popolare del Donbass. Un confine lungo il quale, nonostante l’accordo per il cessate-il-fuoco raggiunto nel febbraio del 2015, si combatte ancora, tutti i giorni. Una guerra che sta mettendo in ginocchio la popolazione, che provoca morte e distruzione.
Per vedere le immagini: http://www.corriere.it/reportage/esteri/2016/ucraina-laltra-guerra/
Anatoly è fuggito da Makiivka, città del Donbass martoriata dai colpi di mortaio e dalle granate, perché quelli come lui, ora, in questa parte di territorio sotto il controllo dei separatisti filorussi, non sono ben voluti. Anatoly è un tossicodipendente, fa uso di droghe da trent’anni, da quando, da ragazzino ha iniziato per curiosità ad assumere sostanze psicotrope, per sconfiggere la noia che regnava tra questi grigi palazzi di stampo sovietico. «Ma da cinque anni sono rinato, ho toccato il fondo, ho rischiato di morire» – racconta Anatoly – «Poi ho iniziato a frequentare il centro di distribuzione di metadone della mia città, e piano piano ho ripreso a vivere, ad avere una vita sociale». Ma questo servizio ora è stato chiuso, e Anatoly è dovuto arrivare fino a qui, fino a Krasnoarmiis’k, per poter continuare a vivere. Come a Makiivka anche a Horlivka e in tutte le altre città della Repubblica Popolare del Donbass i servizi di terapia sostitutiva sono stati chiusi, da un giorno all’altro, senza preavviso. «A settembre ero in coda come tutte le mattine, è arrivata un’infermiera ci ha comunicato che il servizio era chiuso, per sempre» continua Anatoly. La decisione del governo separatista di Donetsk si spiega con la volontà di intraprendere una «via russa» alla cura delle dipendenze: nessun servizio, nessun aiuto. Anzi, da mesi i tossicodipendenti sono vittime di vere e proprie intimidazioni, costretti, ad esempio, a scavare trincee per giorni, per espiare le loro colpe.Il centro di distribuzione di metadone di Donetsk, è l’ultimo rimasto aperto. Ma ancora per poco, le scorte stanno finendo e i rifornimenti sono bloccati. «E’ una situazione disperata, non vedo altro modo per descriverla – spiega Irina Klueva, responsabile del servizio sostitutivo dell’ospedale di Donetsk – Dei 240 pazienti che avevamo prima dell’inizio della guerra, ne sono rimasti solamente 90, perché non abbiamo metadone sufficiente. Anche questi rimasti dovranno interrompere la terapia a breve, perché non avremo più scorte. Negli ultimi mesi abbiamo registrato circa dieci decessi, solamente a Donetsk, di persone costrette a interrompere la terapia. Si sono suicidati o sono morti di overdose». Migliaia di persone sono tornate in strada, a fare uso di droghe illegali, a scambiarsi siringhe sporche, spesso infette. Perché anche i servizi di riduzione del danno, in questa parte di territorio ucraino, non ci sono più.
«La guerra, la situazione nell’Est del Paese, hanno e avranno effetti devastanti sull’intera Ucraina», non ha dubbi Natalia, dell’associazione Svitanok, che a Kramatorsk, in territorio controllato da Kiev, offre assistenza e aiuto alle persone HIV positive scappate dalla Repubblica Popolare del Donbass (Dpr). «Sono per lo più tossicodipendenti e prostitute, che non hanno più la possibilità di accedere al trattamento con antiretrovirali perché i rifornimenti sono stati bloccati dal governo di Kiev come rappresaglia nei confronti dei separatisti». Cosi Natalia e i suoi colleghi partono una o due volte al mese, caricano la macchina di medicine, fanno ore di coda ai check-point e al confine, allungano mazzette ai soldati di frontiera, per poter portare antiretrovirali a Donetsk e Luhansk.
La guerra non porta solo morte e distruzione nell’immediato, ma le sue ferite possono essere profonde, ed avere effetti sul medio-lungo periodo. Ed è proprio il caso dell’Ucraina. Uno dei paesi con il tasso di contagi di HIV più alto, che grazie all’impegno di numerose Ong era riuscito, negli ultimi anni prima dello scoppio della guerra nel Donbass, a ridurre le infezioni. «Ora, pur non essendoci dati ufficiali visto che dal Donbass non giungono statistiche, la situazione è tornata indietro di anni. Il numero di contagi è in aumento, e questo è dovuto sia alle politiche repressive attuate in Dpr che alla situazione al fronte, dove i soldati sono costretti a vivere per mesi lontano dalle famiglie, avendo rapporti sessuali con prostitute, spesso non protetti» continua Natalia. Secondo alcuni dati della Elena Pinchuk AntiAids Foundation, da gennaio a novembre 2015 si sono registrati quasi 13mila nuovi contagi, che hanno portato a oltre 290mila il numero delle persone HIV positive nel Paese. Un’epidemia che è direttamente legata al crollo dei servizi sanitari, alla rapida distruzione delle infrastrutture e alla chiusura dei programmi di assistenza dedicati alle persone HIV positive. Ma non solo. A causa del deterioramento della situazione economica nel Paese e della svalutazione di quasi il 300% della moneta ucraina, si è registrato un crollo del 25% nell’acquisto e nella distribuzione di preservativi nel 2014, cosa che ha fatto diventare il sesso non protetto la prima causa di trasmissione del virus.
L’epidemia di HIV cresce, si espande, di pari passo con il prolungarsi di una guerra che sembra congelata, ma che in realtà continua senza sosta, giorno e notte. Una guerra che continua a costringere persone a lasciare le loro case, le loro vite, per trovare rifugio dall’altra parte del confine. Non si hanno dati certi di quanti, tra gli sfollati ucraini che sono oltre 1 milione e mezzo, siano HIV positivi. Non si hanno dati certi su dove questi si trovino, di quanti di essi siano tossicodipendenti. Non c’è alcun controllo da parte dello Stato centrale, anche in territorio ucraino. Sfollati che arrivano dal Donbass, dalla Crimea, dove le dure politiche repressive contro i tossicodipendenti sono in vigore dal momento del referendum per l’annessione a Mosca. Molti raggiungono le grandi città, provano a rifarsi una vita lì. Ma non è semplice, soprattutto per chi ha perso tutto e per chi, in un Paese nel quale lo stigma nei confronti delle persone HIV positive è ancora forte, è marchiato a vita. «Ho lasciato Simferopol, in Crimea, dopo la chiusura del programma di terapia sostitutiva» racconta Andrei, HIV positivo e tossicodipendente «sono arrivato a Kiev con la speranza di ricominciare una nuova vita, ma è difficile, è dura. Quando la gente scopre che sei HIV positivo ti guarda male, e trovare lavoro è quasi impossibile per persone come me. Siamo scappati dalla Crimea perché per noi lì non c’era futuro. Se fossi rimasto non so sarei sopravvissuto, senza la terapia non so se ce l’avrei fatta».
Gli ultimi dati disponibili, risalenti al periodo precedente lo scoppio della guerra, parlano di oltre il 20% di persone infettate dal virus dell’HIV tra quelle che fanno uso di droghe iniettabili, buona parte delle quali, circa 45mila persone, vive, o viveva, nelle aree di Donetsk e Luhansk, quelle dove ancora oggi si combatte. Numeri che tenderanno inevitabilmente ad aumentare data la situazione nella quale versa la popolazione nell’Est del Paese. «Ci aspettiamo un incremento notevole dei contagi, soprattutto nell’Est del Paese» spiega Olga Rudneva, direttore esecutivo della Fondazione Pinchuk «soprattutto tra le persone che fanno uso di droghe iniettabili, a causa delle politiche dei governi separatisti, in DPR e LPR (Luhansk People’s Republic). Ma ci aspettiamo un incremento anche in tutti gli altri gruppi a rischio perché sono molti i fattori che vanno ad incidere sull’epidemia: taglio dei finanziamenti, spostamenti di centinaia di migliaia di persone, crisi economica». Numeri sui quali potrebbe avere un effetto devastante anche il dimezzamento, da 57 a 27 milioni dei dollari dei finanziamenti del Global Fund. E’ recente l’esempio della Romania, dove il Global Fund ha smesso di finanziare i progetti di prevenzione e nel giro di poco tempo, a causa del disinteresse del governo di Bucharest, il numero di contagi è aumentato , soprattutto tra i tossicodipendenti che non avevano più a disposizione servizi di riduzione del danno e di scambio di siringhe pulite.
Basta andare nella periferia di Kiev, immergersi negli isolati grigi e sporchi del quartiere di Troeschina, per rendersi conto di quanto le droghe siano diffuse nel Paese, soprattutto tra le classi più disagiate. Krokodil, eroina, morfina, anfetamine, si trova di tutto a Troeschina. Molte delle droghe vengono prodotte in appartamenti trasformati in laboratori. Come casa di Ivan. Studi in un rinomato liceo di Kiev, due anni di università, e poi la discesa agli inferi. Le droghe la sua unica ragione di vita, e poco importa delle conseguenze. Il rischio HIV è dietro l’angolo, ma a casa di Ivan le siringhe girano da un braccio all’altro, la droga è diluita con il sangue. «Sono HIV positivo, tutti i miei amici lo sono. Ma questa è la mia vita, vale poco, e non ho paura di perderla» afferma Ivan mentre tiene tra le due mani un piatto infuocato all’interno del quale sta bruciando alcuni farmaci per estrarre la codeina, usata nella preparazione del krokodil, quella droga “casalinga” che ti lacera prima gli organi interni e poi ti mangia la pelle.
Ma se storicamente è sempre stata la comunità dei tossicodipendenti quella più a rischio in Ucraina, ora, con la precaria situazione economica e, soprattutto, la guerra nell’Est del Paese, il rischio di contagi si sta amplificando, perché basta abbassare un po’ la guardia e il virus dell’HIV colpisce. Anche questa è la guerra: non solo i morti in trincea e negli scontri a fuoco, ma un Paese a pezzi dove l’HIV trova terreno fertile per propagarsi e i più deboli vengono messi, ancora di più, ai margini della società.
Nessun commento:
Posta un commento