Di fronte a un documento pontificio che affronta pressoché la totalità dei problemi di ordine economico e sociale che affliggono Madre Terra e i suoi abitanti, con analisi e indicazioni di cura spinte fino al dettaglio, una domanda dovrebbe essere d’obbligo: vi è uno “spirito” che lo distingua da un discorso politico-culturale? In che cosa consiste la sua differenza specifica da un “pensiero ecologico” che da decenni si esercita, magari invano, intorno a sviluppo sostenibile, fonti rinnovabili, lotta allo spreco e “beni comuni”?
Anche la denuncia del dominio del “paradigma tecnocratico”, del primato del sistema tecnico-economico sul Politico, del nesso tra degrado sociale e ambientale, del dilagare di ineguaglianze e iniquità è moneta corrente di un pensiero critico laico, peraltro dalle origini e storie più diverse. È all’interno di questa cultura che il Papa intende collocare il proprio contributo? È questa cultura che si propone di sostenere e rafforzare grazie all’eccezionale autorevolezza della sua parola? Attenti alle alleanze a buon mercato. Il Papa chiama a una conversione , non disegna una “riforma di struttura”.
La sua ecologia si fonda su una antropologia, su una concezione della natura umana. Per essa l’uomo è a immagine di Dio in quanto libero di custodire il dono del creato e di ritornare al Padre in armonia con esso. Su questa terra noi non siamo proprietari , ma custodi e pellegrini in attesa dell’Ultimo. Usare della Terra e del nostro prossimo come fossero cosa nostra è perciò peccato , non una semplice irragionevolezza e neppure un crimine. Tra la nozione di peccato e quella giuridica di colpa si spalanca un abisso.
Così come vi è un abisso tra le letture “ecologistiche” del Cantico francescano e il suo autentico significato: è il Signore che qui viene lodato, attraverso (“per”) le creature, e le creature sono lodate perché sanno lodarlo ; una lode alla creatura in quanto tale è del tutto estranea al suo spirito.
E come non ricordare che tra tutte le creature è proprio l’uomo a non meritare di per sé alcuna lode, ma solo in quanto sappia renderla al Creatore e non cada in peccato? L’uomo è una ferita nella struttura dell’essere, e tuttavia vi appartiene. Ovunque si palesa la sua stra-ordinarietà (miracolo grande,dicevano gli umanisti), ma è stra-ordinarietà immanente all’ordine della natura o della creazione, improbabilissimo caso dell’evoluzione naturale per l’ateo, provvidenza divina per chi crede. In tale ordine, dunque, apparirebbe un essente capace di farlo gemere e gridare!
Ciò ha senso soltanto sul presupposto che papa Francesco esplicita (pur en passant ) che la Terra non sia in sé divina e perciò non sia immortale . Nulla di simile, cioè, all’idea greca di Physis. Come potrebbe un mortale minacciarne la distruzione? Il solo pensarlo sarebbe segno di folle superbia. Non lo è, invece, se si ritiene che l’uomo soltanto sia immortale, a immagine del proprio Fattore.
Con ciò, è chiaro, si stabilisce una gerarchia metafisica nell’ambito del vivente tra il nostro esserci e quello di tutti gli altri essenti. E non si inquadra, allora, in essa anche la nostra millenaria pretesa di poterne far uso, non guardando che al nostro libero arbitrio?
Manca nell'Enciclica questo fondamentale capitolo di storia della civiltà: perché l’antropologia che sta alla base del primato della Tecnica ha trovato proprio nellaEuropa o Cristianità la propria prima dimora? L’Enciclica vede in quel primato l’affermarsi ormai di una nuova religione . Ed è vero: qui passa la linea di un epocale conflitto, incomparabile con quelli tra sacerdotium e regnum , tra Chiesa e ideologie, che hanno segnato la nostra storia.
Ma le radici della nuova fede sull’infinita superabilità tecnica dei problemi che la stessa Tecnica produce sono infinitamente più che tecniche. E hanno ormai generato un mondo , “ecologista” soltanto quando ne può calcolare l’utilità. Che è esattamente l’opposto del senso dell’Enciclica, ma sarà certamente quello in cui il mondo la leggerà.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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