Ha qualcosa di sensazionale il processo cominciato ieri in un tribunale olandese. Non fosse altro che per i soggetti coinvolti: quattro cittadini nigeriani, agricoltori e pescatori nel delta del fiume Niger, versus la compagnia anglo-olandese Royal Dutch Shell, una maggiori multinazionali petrolifere del pianeta. I querelanti accusano Shell di aver inquinato i loro villaggi, campi e acqua al punto da rendergli impossibile guadagnarsi da vivere. E' una causa civile, non era affatto scontato che si celebrasse: quando i quattro agricoltori hanno presentato la loro querela, ormai tre anni fa, sostenuti dalla sezione olandese dell'organizzazione ambientalista internazionale Friends of the Earth, i legali di Shell sostenevano che il tribunale olandese non ha giurisdizione. Ma infine la causa è stata accettata: per la prima volta un tribunale civile dell'Aja giudicherà del degrado ambientale provocato da un'azienda petrolifera nel delta del Niger. E segnerà un precedente: sia simbolico che pratico - perché si tratta di causa civile, quindi di risarcimenti per danni, e potrebbe segnare un precedente.
La querela riguarda alcuni episodi specifici di sversamento di greggio, avvenuti intorno al 2005 presso il villaggio di Goi, nella regione di Ogoniland, Oruma nello stato di Bayelsa e Ikot Ada Udo, nello stato Akwa Ibom - tutti nella Nigeria meridionale, la regione del delta che racchiude alcuni dei giacimenti petroliferi più importanti al mondo ma dove milioni di persone non ne hanno ricavato alcun beneficio materiale. Anzi: uno dei querelanti, Friday Alfred Akpan, ha dichiarato ieri ai microfoni della Bbc a margine del processo che il greggio sversato dalla Shell ha reso impraticabili i suoi 47 allevamenti di pesce, uccidendo i pesci e lasciandolo senza la fonte di reddito che gli permetteva di vivere e mandare a scuola i figli. Con i co-querelanti, dice di sperare in risarcimenti, ma soprattutto che la Shell proceda a bonificare la zona, così potranno riprendere a coltivare e pescare.
L'avvocata che assiste i nigeriani, Channa Samkalden, ha dichiarato ieri in tribunale che Shell è responsabile di non aver garantito la manutenzione dei suoi oleodotti, di non aver ripulito il petrolio disperso, e di fare poco o nulla per prevenire l'inquinamento provocato dalle sue operazioni. I legali della compagnia petrolifera hanno ribattuto che quegli sversamenti di greggio sono stati provocati in realtà da atti di sabotaggio deliberato: Shell afferma che oltre metà dei casi di fughe di petrolio nel delta del Niger sono dovuti a sabotaggi o furti dagli oleodotti. Quanto alla seconda accusa, Shell sostiene di non aver potuto intervenire per bonificare le zone inquinate a causa dell'insicurezza. In un comunicato, sostiene che «la reale tragedia del delta del Niger è la continua e diffusa attività criminale, tra cui sabotaggi , furto e raffinazione illegale del greggio, che provoca la grande maggioranza dei casi di dispersione di greggio». Infine sostiene di aver bonificato i tre villaggi in questione (la decisione del tribunale olandese è attesa in un margine di tempo tra sei settimane e tre mesi). Furti e raffinazione illegale sono un fatto, ma la cosa non riguarda certo piccoli agricoltori e pescatori - casomai un contrabbando su ben altra scala. Del resto,
Shell paga in media 130 milioni di dollari l'anno alle forze di sicurezza dello stato nigeriano per garantirsi protezione (vedi terraterra del 22 agosto). Certo non investe altrettanto in bonifiche ambientali, come documenta ad esempio il rapporto diffuso un anno fa dal Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep) su 50 anni di inquinamento provocato dalla stessa Shell nell'Ogoniland.
Kikukula è una città ugandese. In Uganda, come in altre regioni africane, grandi multinazionali occidentali e non solo stanno acquistando terreni agricoli, cacciano le popolazioni che vi abitano e promuovono forme di business completamente estranee alle culture economiche locali. Il territorio ancora oggi come scenario di sfruttamento, competizione e lotta per la sopravvivenza e la sopraffazione.
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