Lo sfruttamento industriale dei fondali oceanici sta entrando in una fase decisiva, ma le prime evidenze scientifiche mostrano che l’estrazione mineraria negli abissi (deep sea mining) ha impatti significativi e immediati sugli ecosistemi. Uno studio appena pubblicato su Nature Ecology & Evolution ha documentato per la prima volta gli effetti di un test di prelievo di minerali su larga scala sulla biodiversità dei fondali nella zona Clarion-Clipperton, nell’Oceano Pacifico.
L’area, situata tra Hawaii e Messico, è una delle regioni più ricche al mondo di noduli polimetallici: concrezioni minerali delle dimensioni di una patata, formatesi nel corso di milioni di anni e contenenti metalli considerati strategici per la transizione energetica e digitale, oltre che per applicazioni militari.
I noduli non sono solo una risorsa mineraria, ma costituiscono anche un habitat fondamentale: numerose specie – spugne, coralli molli, crostacei e microrganismi – vivono attaccate alla loro superficie o dipendono dalla loro presenza. La rimozione o la frammentazione dei noduli potrebbe quindi mettere seriamente a rischio la biodiversità degli ecosistemi abissali.